bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

sabato 27 febbraio 2010

oscuramente forte è la vita


salda un conto -se mai è possibile- e recupera - se mai è possibile- la foto di suo padre che ha consegnato, ormai due anni fa, da mettere sul suo "monumento".
lo chiamano cosi' qui.
tomba, si chiama tomba, con la lapide.
ogni cosa ha il suo nome.
come sesso. come guerra. come amore. come morte.
tomba.
qualcuno, vedendola sulla tomba, le ha confessato che e' cosi' bella, quella foto di suo padre, che l'avrebbe voluta per se'.
seduto, gambe accavallate, libro in mano (necessariamente), guarda, teneramente soverchiato dall'amore, chi, in quel momento, sta scattando la foto.
quello è suo padre.
le portano una scatola, di quelle che si usano per mettere dentro gli alimenti, di plastica.
decine di foto.
"sono solo le piu' recenti" le dice l'impiegata. gentilmente, in modo accorto, in modo lieve.
quanto e' grande la foto? la ricordava grande.
come e' messo? con lo sguardo di chi ama.
comincia a cercare.
tutte foto di gente morta.
gente parente di gente morta che porta una foto da mettere sulla tomba.
solo vecchi?
no.
donne giovani, bambini, ragazzi.
le ha passate ad una ad una.
pensando: questa persona e' morta e io vedo la sua foto, da viva, che ha portato sua madre, suo padre, suo figlio, suo marito. mi sento invadente.
foto lasciate li', mai piu' richieste mai piu' riprese, dimenticate?
da lasciare solo sulla tomba?
e, qui, le conservano, TUTTE.
non si trova. e pensa: mioddio sono come gli altri, l'ho lasciata qui in mezzo ai morti, in questa fossa comune, e non l'ho recuperata e mi sono dimenticata...
alla fine, in fondo, piccola (quindi non se la ricordava) la foto di suo padre.
bellissima. tenera da morire. fino a morirne.
che struggimento.
l'ha ritrovata alla fine, ha ritrovato suo padre (...) e l'ha tolto dall'anonimita' di una scatola di plastica senza fondo.
quante cose ci dimentichiamo, lasciamo li' ed e' una pena averle dimenticate.

l'ho messa via, nel mio portafoglio, felice.
ora e' con me.


Al padre

Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.

La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d’aquila.
E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d’Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
"Baciamu li mani". Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.

Salvatore Quasimodo

lunedì 22 febbraio 2010

incontro reale e non ideale


Appunti, appunti di lavoro, appunti da una collega, appunti preziosi, per tutti.

la solitudine è una dimensione intima.
non tutti sanno stare soli, perche' la posizione di solitudine è la capacità di separarsi da ciò che ci sollecita. sa essere solo chi ha potuto sperimentare il tempo logico della separazione, chi, attraversato un primo tempo, quello dell'alienazione, lì non si è fermato. nella separazione sentiamo una perdita di godimento ma, al contempo, di recupero di qualcosa di prezioso, vitale.
di personale e privato.
la solitudine è la capacità di separarsi da qualcosa che fa godere, che eccita: e' una specie di trattamento del godimento, una separazione necessaria, un distacco che consente il riavvicinarsi. essere soli significa anche sapersi distaccare dal proprio pensiero e trovare una propria mancanza, significa separazione dall'altro ritagliando uno spazio di differenza.
chi si è separato dall'altro non ha una consistenza piena, basti pensare a tutti noi nevrotici sempre presi dal dubbio e dall'appello all'altro e al paranoico, di contro, in preda alla dimensione della certezza.
la solitudine non è l'isolamento. Isolarsi è evitare l'incontro con la solitudine.
la solitudine non è l'esclusione dell'altro mentre l'isolamento è tagliare fuori l'altro. è il rifiuto dell'altro.
si può evolvere dall'isolamento alla solitudine? Fabbricare una nuova solitudine che permetta di costruire una base operativa solida per poter incontrare gli altri?
si può prendere posto vicino all'isolamento per vedere se è possibile costruire una nuova solitudine meno precaria a partire dalla quale si potrà rompere il proprio isolamento?
l'incontro con la propria solitudine può diventare anche una forza, può dare peso e valenza alle parole. perchè le persone lo sentono. sentono se stai stare solo. sentono sei sei stato solo.
se la solitudine è una condizione che permette di incontrare la differenza nell'altro, e di accoglierla, allora terribilmente isolati sono coloro che frequentano solo i "simili".
scoprire che non c'è garanzia nell'altro, estremizzando, che l'altro non esiste, non toglie il desiderio: la solitudine conserva, al caldo, dentro, qualcosa del "gusto", un aspetto libidico, vitale, pulsionale.
l'altro "ideale" può mancarci, fino a sentirne nostalgia, perchè è difficile accettare che il campo dell'altro non sia il campo ideale. ma se si riesce ad andare oltre e consentire l'incontro con l'altro, detotalizzato ovvero detronizzato del suo valore assoluto, si può innescare una nuova dimensione di desiderio. può verificarsi l'incontro con l'imprevisto, la parzialità, può voler dire, finalmente, stare e godere dell'incontro reale e non ideale.



Luciano Erba
(Milano, 1922)

L'altra metà
Non mancano i segnali, anzi in eccesso,
mi sfugge il loro senso, sono troppi?
alla fine mi resta solo un responso:
stai attraversando un incanto a metà.

Basterebbe un piccolo passo, di misura
una luce appena intravista
allora il silenzio sarebbe un altro
sarebbe l'altra metà.



Pedro Salinas
(Madrid,1891 – Boston,1951)

Io non ti vedo
Io non ti vedo. So bene
che sei qui, dietro
una parete fragile
di mattoni e di calce, alla portata
della mia voce, se io ti chiamassi.
Ma io non chiamerò.


Perdonami se vo così cercandoti
Perdonami se vo così cercandoti,
così maldestramente dentro
di te.
Perdonami il dolore, qualche volta.

Il tuo modo d'amare
Il modo tuo d'amare
è lasciare che io t'ami.
Il sì con cui ti abbandoni
è il silenzio. I tuoi baci
sanno offrirmi le labbra
perché io le baci.
Mai parole, abbracci
mi diranno che sei esistita
che mi hai amato: mai.
Me lo dicono fogli bianchi,
mappe, telefoni, presagi;
tu, no.
E sto abbracciato a te
senza chiederti nulla, per timore
che non sia vero
che tu vivi e mi ami.
E sto abbracciato a te
senza guardare e senza toccarti.
Perché non debba mai scoprire
con domande o carezze
l'immensa solitudine
d'essere solo ad amarti.

domenica 21 febbraio 2010

Epopea del tabacco. un colloquio inusuale



mi dice che ha smesso di fumare.
bene, grande prova di coraggio, indice di un cambiamento.
mi dice che da ragazzi si comincia a fumare per dimostrare di essere uomini. e da vecchi si smette esattamente per lo stesso motivo.
penso: sagace.
parla di umiliazione, l'umiliazione della segregazione. all'aeroporto non si può fumare, in albergo proibito, in ufficio non se ne parla, al cinema o a un convegno si rischia la fucilazione. infilare il cappotto per andare a fumare in terrazza, o nella stanza fumatori, o in strada è una vergogna. ci si ritrova tra reietti.
la stanza non fumatori è un non-luogo. come i centri commerciali, come i cinema mutisala, come i supermercati o le sale giochi. luoghi privi di elementi identitari, luoghi senza luogo. luoghi "ovunque".
il gusto viene mortificato, si soddisfa solo la dipendenza, non c'è più da mostrare niente. il gesto perde senso, anche il suo potere di seduzione.
un tempo passò alla pipa, mi racconta. "oralizzazione" alternativa.
mi svela la lenta ossessiva metodica della pipa ("Ceci n'est pas une pipe", Magritte), raffinata, non catarrale e slabbrata come quella del fumatore senza filtro. la pipa è un investimento, oltre che sulla salute anche sull'oggetto. la dipendenza fluttua dalla nicotina al culto collezionistico.
il tabacco non crea dipendenza, ed è molto igroscopico, mi spiega.
penso: sorprendente.
poi con un atto di nuova libertà -scrivere al pc con la pipa significa, con il tempo, scardinare la mandibola dall'acetabolo mascellare- si è liberato dalla sua nutrita collezione ma l'intenditore gli ha confessato: queste pipe non tradiranno mai il loro proprietario. una dipendenza ben spesa. ripagata.
l'ultimo passaggio, mi confessa, è stato il toscano.
penso: o la dipendenza o la socialità. il toscano isola. delimita. allontana.
ha smesso di fumare.
prima si premiava, a sera, per non aver fumato, con una sigaretta.
penso: fenomenale.
ma la liberazione è arrivata.
non fuma più.
penso: è diventato un uomo.

fumo, sottile linea di confine.

mercoledì 17 febbraio 2010

Wislawa Szymborska per tutti

Le poesie della Szymborska sono un monumento alla semplicità dell'osservazione empirica. Sono limpide piene stracolme di verità ironica dal potere penetrante cristallino.

Ai miei scienziati
se è vero che le idee sono i disegni della mente, i nostri incontri ci permetteranno di disegnare nuove tracce o di arricchire disegni già iniziati.

Pi greco

Degno di meraviglia è il numero Pi greco
tre virgola uno quattro uno.
Le sue cifre seguenti sono ancora tutte iniziali,
cinque nove due, perchè non ha mai fine.
Non si fa abbracciare sei cinque tre cinque con lo sguardo,
otto nove con il calcolo,
sette nove con l’immaginazione,
e neppure tre due tre otto per scherzo, o per paragone
quattro sei con qualsiasi cosa
due sei quattro tre al mondo.
Il più lungo serpente terrestre dopo una dozzina di metri s’interrompe.
Così pure, anche se un po’ più tardi, fanno i serpenti delle favole.
La fila delle cifre che compongono il numero Pi
non si ferma al margine del foglio,
riesce a proseguire sul tavolo, nell’aria,
su per il muro, il ramo, il nido, le nuvole, diritto nel cielo,
per tutto il cielo atmosferico e stratosferico.
Oh come è corta, quasi quanto quella di un topo, la coda della cometa!
Quanto è debole il raggio di una stella, che s’incurva nello spazio!

Ed ecco invece due tre quindici trecento diciannove
il mio numero di telefono il tuo numero di camicia
l’anno mille novecento settanta tre sesto piano
numero di abitanti sessanta cinque centesimi
giro dei fianchi due dita una sciarada e una cifra,
in cui vola vola e canta, mio usignolo
e si prega di mantenere la calma,
e così il cielo e la terra passeranno,
ma il Pi greco no, quello no,
lui sempre col suo bravo ancora cinque,
un non qualsiasi otto,
un non ultimo sette,
stimolando, oh sì, stimolando la pigra eternità
a durare.

Wislawa Szymborska, 1976
da “Wielka Liczba” (Grandi Numeri)

Per me
la scienza farmacologica è la mia formazione, la mia origine, ma la mia storia, il mio percorso, sono le relazioni.

Foglietto illustrativo


Sono un tranquillante.
Agisco in casa,
funziono in ufficio,
affronto gli esami,
mi presento all'udienza,
incollo con cura le tazze rotte -
devi solo prendermi,
farmi sciogliere sotto la lingua,
devi solo mandarmi giù
con un sorso d'acqua.
So come trattare l'infelicità,
come sopportare una cattiva notizia,
ridurre l'ingiustizia,
rischiare l'assenza di Dio,
scegliere un bel cappellino da lutto.
Che cosa aspetti -
fidati della pietà chimica.
Sei un uomo (una donna) ancora giovane,
dovresti sistemarti in qualche modo.
Chi ha detto
che la vita va vissuta con coraggio?
Consegnami il tuo abisso -
lo imbottirò di sonno.
Mi sarai grato (grata)
per la caduta in piedi.
Vendimi la tua anima.
Un altro acquirente non capiterà.
Un altro diavolo non c'è più.

Wislawa Szymborska, 1972
da "Wszelki Wypadek" (Ogni Caso)

martedì 9 febbraio 2010

UTE LEMPER, last tango in Berlin



qualcuno, molto gentile, mi ha fatto notare che questa donna e' nata lo stesso anno, stesso mese e solo a qualche giorno di distanza da me.
si ma lei e' un tormento dell'anima.
un talento assoluto che polverizza cio' che le sta intorno.
un'atomica esplosiva.
l'ho sentita cantare, al Piccolo Teatro, last tango in Berlin, un sabato sera che poteva essere un sabato, come dire, piacevole?, e si e' trasformato in un evento solido di questo 2010.
lei mi ha inchiodata, anzi crocefissa alla poltrona con una voce, anzi, con un corpo che canta.
ha delimitato tutto il confine intorno a me, ho sentito il mio profilo, le mie gambe e braccia, la mia pelle che mi conteneva perchè tutto risuonava al suo interno.
non è che lei canta o interpreta o comunica, come generalmente si dice, lei penetra dentro muovendosi sopra la musica e possedendola come se fossero una cosa sola.
oltre al tango anche un pezzo di jazz, improvvisazioni, piano, basso e batteria.
si avvicina al pianista al piano e canta imitandolo, poi passa al bassista con il basso e si modula su questo, infine si sposta dal batterista alla batteria e vibra con essa. beh io vi dico che se li è scopati tutti e tre e quei tre sono venuti insieme a lei. quello che ho visto e sentito era sesso, era assoluta risonanza, era passaggio di un fluido da un corpo all'altro, era orgasmico.
sensazioni simili le ho vissute con la danza, con il bolero di Ravel o con il tango di Miguel Angel Zotto. ci sono movimenti del corpo che sublimano l'amore, ci sono vibrazioni della voce che scuotono come un'eccitazione fisica, come un godimento.
la cosa straordinaria è che questo fenomeno si concretizza tramite una donna, bella come una gazzella, elegante, ovviamente sensuale, che parla tutte le lingue del mondo e usa un linguaggio quasi alieno in cui mischia francese inglese tedesco praticamente in contemporanea, si rivolge al pubblico incantandolo e legandolo come in una seduta ipnotica facendo ruotare le erre nella bocca come un richiamo irresistibile.
il bis: ne me quitte pas (jacques brel)

Ne me quitte pas
Je ne vais plus pleurer
Je ne vais plus parler
Je me cacherai là
A te regarder
Danser et sourire
Et à t'écouter
Chanter et puis rire
Laisse-moi devenir
L'ombre de ton ombre
L'ombre de ta main
L'ombre de ton chien
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas
Ne me quitte pas

sommesso, sussurrato. ho chiuso gli occhi e ho pianto.

ne me quitte pas, Ute.

lunedì 8 febbraio 2010

La cicala nell'estate fra le rame se ne sta. Se son belle le giornate a gridare: cia cia cia.



uno scienziato -tedesco- fa un'esperimento.
prende una cicala e le toglie una zampa.
"salta!"
e la cicala salta.
le toglie la seconda.
"salta!"
e la cicala salta.
e cosi' via, fino all'ultima zampetta.
"salta!!"
e la cicala NON salta.
"cio' che zi deduce da ezperimento e' che cicala senza zampe diventa SORDA!"
cosi' dice il piccolo grande uomo.
IRRESISTIBILE.

don't you think so?

domenica 7 febbraio 2010

parnassus vede con gli occhi di magritte


penso: è confuso, ridondante e ripetitivo.
salvo però, con lode, la parte visionaria e immaginifica.
dalla prima immagine all'ultima ho pensato: questo film è pieno, è costruito, è sviluppato sui quadri di magritte.
e, come magritte, si libera nel cielo della mente e delle sue angolazioni segrete. sonda immagini nascoste della memoria. visita stanze misteriose che disvelano mondi ancestrali.

le figure del film vengono inglobate dalla mente di parmassus, processate dal suo incoscio e poi partorite e restituite alla realtà.
il diavolo cammina sulle nuvole e restituisce a parnassus la libertà di morire.

martedì 2 febbraio 2010

non dimentichiamoci di Luciana...


e' il mio momento.
lavoro poco ma notorieta' tanta.
diciamo cosi'.
ho incontrato pure lei.
coop.
gia' lunedi' entro e c'e' un casino infernale. sono alla coop o in un girone dantesco?
luci fortissime, impalcature, fili elettrici ovunque.
forse e' in corso un incontro ravvicinato del terzo tipo...
ma no, e' solo un set cinematografico. anzi pubblicitario, dai, non esageriamo.
evito e faccio la mia spesa. guardo le offerte sui detersivi -all'argilla??- e sento dietro la mia nuca il vento sottile di un passaggio veloce.
e una voce nota, molto nota.
Luciana Littizzetto.
leggera, minuta, piccolina, ma a suo modo importante.
sta girando una pubblicita', la vedo solo di spalle mentre si allontana. ciao.
lei mi e' simpatica. ha una dote impagabile che le invidio fino al rancore: e' autoironica.
perche' lei si??
con me si sono dimenticati passando veloci al momento della distribuzione della leggerezza...
ho pensato...mi avvicino e le dico che sono amica di Lella.
voi vi rendete conto di come sono messa ormai?
sono fuori, esaltata, gasata, una scheggia impazzita.
l'ultimo mg di decenza mi trattiene e me ne vado sommessa, come una comparsa qualunque.
pero' dai...
oggi coop (cosa si diceva sulle donne un post fa?..), come ieri e poi di nuovo domani. una vita alla coop.
stessa scena. abbiamo solo cambiato reparto. prima eravamo in salumeria ora siamo nel corridoio caffe' te me..
e io devo prendere il caffe'!! che segno del destino.
tra un ciack e l'altro mi infilo (lei parla di mortadella..non so), disturbo, scusate, non e' colpa mia, si tolga di li', aspetti solo un attimo, si adesso puo' andare: hanno fatto un casino 'sti qua, tutte le mie confezioni spostate, ci metto un secolo a trovare il mio oggetto del desiderio.
c'e' un ragazzo, giovane attore suppongo, che ride parecchio di me. lui pure fa ridere, con il cestello della spesa veloce in mano, si diverte alle mie imprecazioni sul disordine che hanno messo giu'..ma ride...perche' ride cosi' tanto di me? comunque e' gentile, ride ma sorride anche.
saro' irresistibile immagino, una nuova stella del cinema.
riprendo, compiaciuta, la mia strada ed entro in un altro corridoio.
Luciana e' li'. sola. sola? guarda gli scaffali passeggiando. come quando l'ho incontrata ieri.
ma ora la incrocio. come in un duello nel far west, tensione altissima.

scusate voi cosa avreste fatto?????

io: tutto bene? (forse pensavo di essere nel mio studio con una paziente)

lei: sorride, per educazione.
ma pensa: ma questa...??

ormai sono nel giro, e' fatta. il mio nuovo lavoro mi aspetta.
da grande faro' l'attrice comica.

io sono Rossa


Lella è a teatro a Milano. il 12 sono da lei.
ascolto la sua intervista da Fazio.
parla come un fiume in piena.
anche io l'ho incontrata ed è difficile interloquire con lei. c'è lei.
ma che momento, che bella emozione. nevicava, a dicembre, aveva i moon boot, io avevo i "bigodini" in testa...difficile stabilire chi fosse più buffa tra noi.
due papere a confronto.
durante l'intervista la sento parlare di uomini, con la solita sferzante ironia, una vena che le fa dire che gli uomini sono in grado di depauperarci di tutto, anche della nostra suprema superiorità: noi diamo la vita, ma poi la dobbiamo "restituire" ad un mondo maschile che, proprio per l'essere madri, ci squalifica sul lavoro e ci nega diritti paritari.

io non ne sono così sicura.
io sento il mio potere.
lo sento e fortissimo.
sarò pagata di meno, sarò discriminata (ma a me non è mai successo in verità e sono certa nemmeno a una donna come Lella Costa), dovrò pareggiare i conti tra la mia parte professionale sociale culturale e la mia parte affettiva sentimentale familiare, sarò stremata a fine giornata, dovrò alzare la voce per farmi sentire, dovrò dividermi in molti ruoli diversi

ma

io

mi

sento

più

forte.

io

sono

forte

prolifica

densa

quanto

qualsiasi

altro

uomo.

non sono presuntuosa. e sono in pace con il sesso maschile.
anzi gli uomini mi piacciono moltissimo.
perchè sono diversi da me, "me" Rossa e "me" donna.
ed è perchè sento bene il mio essere donna che mi piacciono gli uomini.
so che chi sa capire e ha testa ha capito.

Rossa.