bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 29 maggio 2011

il paradiso dei bambini dimenticati

 
così lo definisce un giornalista del Corriere della Sera, in un articolo di sabato scorso, il luogo di raccolta delle creature che, al posto di andare al nido quella mattina, rimangono in auto e finiscono così la loro esistenza.
sarà che sono stanca e provata dall'intensità lavorativa della mia nuova vita, darà che sono oppressa da molti pensieri, sarà che sono soffocata dalle incombenze, sarà che sono irritabile e mi altero facilmente, ma le opinioni a  latere di Giovanni Battista Cassano sulla questione delle dimenticanze mi hanno lasciata stremata e con l'idea che non ci sia speranza. 
l'illustre psichiatra, qualcuno dice il più grande in italia, afferma che dimenticare il proprio figlio in macchina può capitare a chiunque. "il nostro cervello attraversa fasi di amnesie che possono coinvolgere persone e oggetti importantissimi. il portafoglio, i gioielli, lo stipendio, anche un figlio che dorme sul seggiolino". "la nostra memoria ha limiti enormi e funziona a fasi alterne. per alcuni periodi siamo perfettamente consapevoli di ogni azione compiuta, in altri cancelliamo i ricordi, qualsiasi peso essi abbiano". e ancora: "il cervello ha migliaia di funzioni che in certi momenti possono essere sottotono o bloccarsi completamente. è un organo conformato in questo modo proprio per adattarsi elle esigenze dell'uomo". aggiunge che è più facile dimenticare ciò che non rientra nella routine - e quindi se non siamo abituati a portare il figlio al nido è più facile che il black out si verifichi-se poi faccio uso di psicofarmaci o alcool o droghe o se sono stressato e depresso sono più predisposto a lacune transitorie.
ecco qua, il più celebre e celebrato psichiatra italiano ha dato la sua assoluzione: capita, il cervello è una macchina imperfetta, a chiunque può succedere.
sembra straordinario a me, che sono l'ultima degli psichiatri italiani, la più ignorante e insicura, la meno eccellente e più miserevole - e deve proprio essere per questo che sto per scrivere quello che scriverò- che il più quotato professore in tema di psichiatria possa avere una posizione così antistorica. 
per cassano l'inconscio non esiste. tutto si spiega sulla base del suo psichismo e scientismo che si è fermato all'età della pietra, sicuramente prima della nascita di Freud, per cui un padre, o una madre, che si dimentica il proprio figlio in macchina rientra in una normale casistica di interruzione neuronale di fissazione glutammatergica della memoria, con un portafoglio alla pari di un figlio. 
alla faccia dico io. alla faccia di tanti anni di lavoro studio indagine conoscenza e rappresentazione onirica che ci hanno dimostrato che sotto quell'io cosciente che agisce c'è un meccanismo che governa tutto di noi, dalla nascita alla morte, che si chiama inconscio.
si potrebbe dire piuttosto che di dimenticarsi del proprio figlio succede, e molto più di quanto noi si possa leggere sui giornali attanagliati e morbosamente attratti dall'idea della morte per edema polmonare di un bambino di 12 mesi, succede a molti genitori che poi però non finiscono sui giornali perchè l'estate dura solo pochi mesi all'anno. succederà d'inverno con conseguenze molto meno definitive, succederà alle fermate degli autobus, all'uscita da scuola, alla feste degli amici, nei negozi di frutta e verdura. succede e non accade la tragedia ma semplicemente succede.
succede di dimenticare il proprio figlio. succede anche in forme molto meno conformate e strutturate come una vera dimenticanza, succede di avere accanto figli che si dimenticano tutta la vita e dico tutta la vita. non muoiono in coma a 30 gradi, ma muoiono dentro di qualcosa d'altro per tutta la dolorosa durata della loro misera esistenza.
quello che accade, e che non succede a tutti, ma succede anche molto spesso, non è legato a un circuito neuronale deficitario con una spiegazione degna di uno scolaretto delle elementari, ma alla storia, al legame, alla relazione tra quel padre, o quella madre, e quel bambino. in modo specifico e indelebile. a quel genitore con quel figlio, e con quel coniuge che gli sta accanto tutti i giorni, oppure non gli sta accanto più, in relazione ai suoi stessi genitori e alle pulsioni desideri frustrazioni dolori che condizionano la sua vita ogni giorno. 
quel bambino dimenticato è legato non alla storia di tutti e di chiunque, ma in modo singolare e univoco al proprio genitore che lo dimentica in un atto che ha a che vedere con qualcosa che non si spiega come la luce che salta checcazzo proprio adesso che c'era la scena più bella del film ma con qualcosa di inconsapevole e potentissimo che condiziona ogni nostro gesto e ogni nostra scelta, tutti i santissimi giorni della nostra vita. quel bambino è stato dimenticato da quel genitore perchè in quel momento, che è apparentemente un istante ma è invece eterno nel mondo senza tempo della psiche, nella vita di quel genitore, per motivi che sono inscritti indelebilmente dentro di lui e solo lui può conoscere, non c'era posto, un posto, per quel bambino, quel figlio.
ma devo essere una cogliona io a pensarla così, una povera ignorante psichiatra del cazzo mal pagata e senza prospettive se il più grande psichiatra italiano si è dimenticato -oibò pure lui- di questo piccolo particolare nella sua autorevole intervista sul corriere della sera di milano. che sia uno scherzo del suo inconscio??
che dio mi perdoni.

mercoledì 25 maggio 2011

Nodi



Ronald David Laing era scozzese. e uno psichiatra.
anzi, a dirla con lui, un antipsichiatra.
nel 1970, in ritiro su un'isola, ha partorito questi Nodi, un libro che si diverte a infilarsi nella angolazioni buie senza vie di uscita della psiche, in modo non sempre intelleggibile, ma con un esito finale a tratti spassoso e fin quasi poetico.
questi due nodi li trovo particolarmente interessanti, come dire contestualizzabili nei gloriosi tempi nostri.


Stanno giocando a un gioco. Stanno giocando a non
giocare a un gioco. Se mostro loro che li vedo giocare,
infrangerò le regole e mi puniranno.
Devo giocare al loro gioco, di non vedere che vedo il gioco.



In lui ci dev’essere qualcosa che non va

perché non agirebbe come fa
                      se così non fosse
quindi agisce come fa
perché in lui c’è qualcosa che non va

Non crede che in lui ci sia qualcosa che non va
perché
in lui una delle cose
che non va
è il fatto che non creda che in lui ci sia
qualcosa che non va
quindi
dobbiamo aiutarlo a rendersene conto,
il fatto che non creda che in lui
ci sia qualcosa che non va
è in lui una delle cose
che non va.

in lui c’è qualcosa che non va
perché crede
che in noi ci sia qualcosa che non va
per il fatto che cerchiamo di aiutarlo a vedere
che ci dev’essere qualcosa in lui che non va
a credere che ci sia qualcosa in noi che non va
per il fatto che cerchiamo di aiutarlo a vedere che
lo stiamo aiutando
a vedere che
non lo stiamo perseguitando
aiutandolo
a vedere che non lo stiamo perseguitando
aiutandolo
a vedere che
si rifiuta di vedere
che c’è qualcosa in lui
       che non va
a non vedere che c’è qualcosa in lui
       che non va
a non esserci riconoscente
almeno del nostro cercare di aiutarlo
a vedere che c’è qualcosa in lui
che non va
nel non vedere che ci dev’essere qualcosa
in lui che non va
nel non vedere che ci dev’essere qualcosa
in lui che non va
nel non vedere che c’è qualcosa in lui
che non va
nel non vedere che c’è qualcosa in lui
che non va

a non essere riconoscente

che non abbiamo mai cercato di far sì
                  che si sentisse riconoscente.

sabato 21 maggio 2011

La fotografia non mostra la realtà, mostra l'idea che se ne ha. (Neil Leifer)

world press photo 2011, ovvero le foto giornalistiche migliori, in diversi settori, del 2010.
alla galleria Sozzani a Milano, quella in corso Como 10 a Milano, a Milano l'ho detto?, in quel negozietto di lusso che brucerei tanto puzza di snobismo milanese della peggior specie, quella che è dislocata in una posizione incantevole, lo devo dire, tra case vecchie e non restaurate, tra glicini e rampicanti, con giardini e terrazze piene di fiori vasi e tavolini con i tetti rossi da una parte e i nuovi grattacieli di porta garibaldi dall'altra. spettacolarità dei contrasti.
sono entrata piena di speranze e sono uscita con la nausea.
una sosta per ritrovare il ritmo del respiro sul terrazzo tra cielo e grattacielo nel centro mondiale del consumismo cosmico e' risultata necessaria.
quel che ho visto, tranne proprio la prima sala su "ritratti" e "vita quotidiana" e alcune altre foto che salvo e mostro, proprio non mi è piaciuto.
a metà della mostra ho cominciato a sentire disagio, alla fine provavo angoscia.
sarà forse che giornalismo vuol dire cronaca e informazione, e ho in effetti scoperto che il 2010 è stato devastato da morte distruzione inondazioni terremoti disastri naturali eruzioni e guerra ovunque anche dove non sapevo mioddio c'è da inorridire -Tailandia Messico Brasile Cina Giava Yushu Pakistan Somalia Cina- sarà che cogliere l'attimo su pellicola, diciamo così, vuol dire renderlo eterno, sarà che la crudezza ci deve essere sparata in faccia come se fosse sinonimo di autenticita', sarà che il corno di un toro che infila la gola del torero per uscirgli dalla bocca è un atto di verità suprema sulla morte in diretta, sara' che una testa mozzata nel deserto e' emblema di degrado e miseria umana e richiamo al cambiamento, ma, siamo proprio sicuri?, io queste foto le ho trovate spaventose. e brutte. e inutili. e compiacenti solo l'ego di chi le scatta (visto che poi le premiano anche). e glorificanti la violenza. e perpetuanti l'oscenità della putrefazione. e impietose sulla morte quando rappresenta il cadavere in quelle pose che da vivo risulterebbero inguardabili. oscene violente insensate. e a volte francamente nemmeno tecnicamente meritevoli.

ho visto queste foto e ho ripensato alla mostra di Pellegrin (http://nuovateoria.blogspot.com/2011/03/dies-irae.html) e, dopo aver riflettuto, si, penso che la fotografia possa raccontare in altro modo, che abbia il potere, unico e artistico, di essere incisiva senza essere aggressiva. "c'è nell'immagine qualcosa che trascende il movimento, l'aspetto mutevole della vita, nel senso che l'immagine sopravvive al vivente." (J. Lacan), c'è nell'immagine qualcosa che attiene alla coscienza, alla propria responsabilità.



 







mercoledì 18 maggio 2011

La bellezza è ovunque. E non vi è nulla in natura che abbia più carattere del corpo umano. (A. Rodin)

era marzo ed ero alla mostra di Rodin a Legnano.
i miei occhi si sono innamorati.
quest'arte merita il mio amore, tutto il mio sguardo.
questo e' solo un busto, il Torso di Adele.
solo un busto che per me e' sesso. 
lo scorcio di un corpo arcuato di cui non sappiamo nulla, ne' prima ne' dopo,
ma solo cio' che percepiamo in questo istante, il movimento di un corpo che si mostra, che gode.
un corpo senza testa nè mani.
e' la mancanza degli estremi, la mancanza di una storia e di un contesto, e' la pietra bianca e la percezione della sola flessuosita', e' tutto questo che mi fa vedere me stessa, che mi proietta li', e mi eccita.
si e' un godimento sensuale il mio, di sensi e anche di testa, eccitamento, mediato dallo sguardo, del corpo, di un corpo così importante, così vivo, così espresso.
è vero che siamo abituati a ogni sbandieramento e svilimento del corpo, ma questo suo corpo è dirompente, scandaloso, è rinascita, ressurrezione, esplosione della forma.
“La modellatura dal vivo non produce che l’esterno, io riproduco anche lo spirito. Io vedo
tutta la verità, e non soltanto quella della superficie. Una persona mediocre copiando non produrrà mai
un’opera d’arte, non v’è dubbio: perché egli guarda senza vedere. L’artista invece vede: il suo occhio
congiunto al cuore legge in profondità nel seno della natura. Ecco perché l’artista deve credere solo ai
suoi occhi”.

 
si anche questo e' Rodin, quel mago di Rodin, quel genio pensatore di Rodin.
sembra che scolpisca, o dipinga a volte.
ma, secondo me, narra.
racconta storie, racconta volti corpi e movimenti.
narra il movimento della vita.
cosa vogliamo dire di questa donna accovacciata?
il corpo in una direzione e il volto curiosamente in un'altra.
il seno i fianchi le cosce le spalle in torsione la mano sul piede.
la scelta di questa posa. ardita, sfacciata.
la donna si piega e si mostra, mostra tutto quello che ha, la pancia il pube, senza vergogna, naturalmente.
e ancora una volta sono io, e' qualsiasi donna che guardi, e' qualsiasi donna in confidenza con se stessa.  

e l'uomo che cade mi cadere nel vuoto, mi fa sentire l'aria che si fende e il corpo che si abbandona nel vuoto. ecco, sono caduta.
e sono anche  folgorata, della stessa folgorazione che ha colto l'uomo nel suo cedimento.
e l'Eta' del Bronzo e' un giovane uomo che si sveglia, la mattina, e, lentamente, morbidamente, si avvia.
poi magari è lui che cade, che si dispera come nell'Adolescente Disperato. forse è sempre lui che ama in Amor Fugit, o ne Il Bacio, o nell'Eterna Primavera.

"Il bello è solo l'inizio del tremendo."
(R.M. Rilke, prima segretario e poi amico di Rodin) 

che movimento, che spostamento rispetto a tutto ciò che lo ha preceduto.
non è più grazia perfetta, ma drammaticità autentica, 
non è più somiglianza con la natura, ma creazione della natura. 
il pensatore, il suo pensatore, è un creatore. è dio alla fine del settimo giorno.
è come se tutto averse perso equilibrio. tutto è fuori asse.
è individualità eccedente, “spirito moderno che sconvolge e frantuma tutto
quello in cui s’incarna”, cui Rodin lavora con “uno
sforzo sovrumano di portare il mondo in una statua”,  per dare
forma a una materia che non sembra riuscire a contenere i moti di un’umanità inquieta.
e questo era il suo scopo: opere fatte perchè si tocchino con le mani.
SVOLTA 
(R.M.Rilke)

Fece a lungo conquiste nell’arte di guardare.
Stelle caddero in ginocchio
sotto l’assalto dei suoi sguardi alzati.
O in ginocchio guardò
e il vapore della sua perseveranza
sfinì a tal punto un’essenza divina,
che gli sorrise nel sonno.

Torri guardò così
da spaventarle:
e le ricostruì in un solo tratto!
Ma quante volte il paesaggio oppresso
dal peso del giorno entrò pacificato
nei suoi sensi tranquilli, a sera.
Entrarono animali fiduciosi
nel suo sguardo aperto, al pascolo,
e i leoni prigionieri vi affissero gli occhi
come in una libertà incomprensibile;
uccelli lo attraversarono docile
con un volo dritto; fiori a loro volta
in lui guardarono,
grandi come in occhi infantili.

E la voce che fosse uno che guarda
turbò le meno visibili,
dubbiamente visibili creature,
turbò le donne.
[…]
Perché, ecco, c’è un limite al guardare,
e il mondo lungamente misurato dallo sguardo
vuol prosperare nell’amore.

Opera della vista è compiuta,
compi ora l’opera del cuore
sulle immagini prigioniere in te, perché tu
le hai sopraffatte ma non le conosci ancora.
Vedi, uomo interiore, la fanciulla in te racchiusa
che da mille nature
hai estratta, questa
finora soltanto conquistata, mai ancora
amata creatura

Strada di campagna a Watermael, nella foresta di Soignes, Rodin, 1871-1877

mercoledì 11 maggio 2011

Croma - NERO

Bruno Barbey

nero. mistero e inquietudine.
nero, colore al contempo dell'origine del mondo e della morte e del nulla.
nei grandi miti di fondazione dell'universo, le tenebre hanno preceduto la luce. in principio era la notte, la sconfinata notte delle origini, e poi l'immensa luce della vita. da qui la doppia simbologia che accompagna il nero nel corso della sua storia nella maggior parte delle culture:
il nero è matrice
il nero è morte.
il nero delle origini è presente in molte mitologie. è fecondo e fertile come quello dell'Egitto dei faraoni che simboleggia il limo delle acque del nilo, e si oppone al rosso sterile delle sabbie del deserto. altrove ricopre le statue delle dee-madri protostoriche o riveste alcune divinità associate alla fertilità. questo nero fertile lascia tracce fino al basso medioevo cristiano attraverso la simbologia dei colori associati ai quattro elementi: il fuoco è rosso, l'acqua è verde, l'aria è bianca e la terra, feconda e nutrice, è nera.
allo stesso tempo il nero per l'abbigliamento è associato a diverse virtù: umiltà, temperanza, dignità e giustizia. è il nero austero dei monaci e dei religiosi che la riforma protestante riprenderà più tardi per farne un colore morale. è il nero dei giudici e dei magistrati.
oggi il nero dei vestiti è soprattutto segno di eleganza, lusso e modernità. stilisti e grandi sarti lo consacrano come un colore di culto. realizzare un nero davvero nero è stato per lungo tempo un difficile esercizio ma ai giorni nostri non è più così, la maggior parte dei neri fabbricati dall'uomo sono più neri di quelli prodotti in natura.
io mi vesto molto di nero, ma non immaginavo di un nero più nero del nero.

Corey Rich
Steve McCurry
Eric Lafforgue
Veronique Durruty
Steve McCurry
Steve McCurry

domenica 8 maggio 2011

dalì e la modernità della psicoanalisi


no no. lo giuro non lo sapevo.
sabato mattina vado al mio corso all'istituto freudiano e mi chiedono: vieni a catania?
proposta allettante. seducente. giugno, sicilia, psicoanalisi lacaniana.
questa sera guardo la posta e mi hanno inondata di mail informative.
e cosa trovo?
la locandina del convegno.
e chi c'è a renderla invitante e moderna?
lo sapete.
Dalì
e le sue creature immaginifiche dell'inconscio.


Stupisce non tanto che il soggetto sia felice senza saperlo,
ma che si faccia un’idea di Beatitudine da cui si senta escluso.
Jacques Lacan

venerdì 6 maggio 2011

dalì-gnamente

"Quando entrai all' accademia, studiai le biografie dei grandi pittori e compresi che il loro successo non era dovuto soltanto a ingegno ma alla stravaganza del vivere, a un' accorta pubblicità. (...) Sono uno studioso delle leggi che governano la pubblicità la quale è direttamente proporzionata al successo. Mi dimostri che si può diventare celebri con l'umiltà e io sarò umile" (Salvator Dalì intervistato da Oriana Fallaci, 1961)


"Se sapesse che noia, questi baffi. Per incollarli così devo usare una miscela che puzza. La notte, poiché detesto il tirabaffi, mi cascano giù, mi finiscono in bocca e nel naso. Li odio. Salvador Dalì, se li odio! Ma se taglio i miei baffi, se gli altri non parlano più dei miei baffi a punte flosce, arricciate, abbassate, doppie, orizzontali, verticali, dove va a finir la leggenda? La pubblicità è essenziale al mio personaggio: al mondi ci son troppi pittori e anche bravi." (Salvator Dalì intervistato da Oriana Fallaci, 1961)


Dalì non mi è simpatico. e la mostra di Milano non mi ha aiutata a rivedere la mia opinione, semmai l'ha confermata.
oltre all'eccentricità ad oltranza, ovvero la costruzione metodica del personaggio pubblico, non mi piacciono l'opportunismo politico, la venerazione-provocatoria ma non troppo- del denaro,  e un certa vena retorica ed enfatica sul dolore nel mondo che, dal mio punto di vista, è in forte contraddizione con la sua vena utilitaristica di adesione al modello pubblicitario. è una di quelle situazioni in cui il bisogno di sfondare con l'immagine e l'imposizione narcisistica del sè offuscano il pensiero sottostante, magari autentico e anticonformista, confondendolo causa inquinanti compromessi con il consumismo. almeno questa è la mia impressione. magari è stato solo un uomo del suo tempo, un tempo pop cattolico e franchista, mica facile...

la mostra di Milano ha forse avuto il pregio di una presentazione intelligente. non so se il percorso presentato sia aderente a un percorso storico mentale di Dalì, ma mi è apparso intuitivo e intelligente, per me educativo. un percorso che ho intrapreso fiduciosa, nel senso che ci ho creduto, ricambiata dalla visione guidata di un'arte quanto meno originale. è stato un breve viaggio tra i paesaggi della memoria e dell'assenza attraverso stanze del male, dell'immaginario, dei desideri, dei silenzi e del vuoto.
"dopo essere incantato dallo spettacolo del tuo paesaggio prediletto ti ordino di non rivederlo più. Deve rimanere sepolto nella tua memoria."
non so se Dalì sia un buon pittore, tecnicamente parlando, ma personalmente questo aspetto mi interessa fino a un certo punto, mi attraggono la fantasia e il progetto di rappresentazione artistica dell'inconscio, tra surrealismo e metafisica.
e mentre non mi ritrovo assolutamente nel personaggio, ecco che la forma della sua pittura invece mi incanta. è possibile?

sarà che come si parla di inconscio, del suo volto e della sua geografia, irreversibilmente mi si risveglia tutto un mio mondo interiore, e gli orologi molli, le sovrapposizioni dei piani, la scomposizione dei volti, le ferite meccaniche dei corpi, le rappresentazioni teatrali della mente, i cassetti aperti sugli scenari di guerra, i paesaggi desertici con piccoli elementi umani  o marziani o tavolini apparecchiati per l'aperitivo della mente, i corpi abitati dai conflitti, i profili di guerra umanizzati e popolati di animali fantastici, le scacchiere di corpo e psiche, le crocifissioni sospese senza chiodi e senza sangue , porca miseria, mi piacciono.

"Il Cielo, ecco quello che la mia anima ebbra d'assoluto ha cercato durante tutta una vita che a certuni è potuta sembrare confusa e, per dirla tutta profumata dello zolfo del demonio. …Il Cielo non si trova né in alto, né in basso, né a destra, né a sinistra, il Cielo è esattamente al centro del petto dell'uomo che possiede la fede. P.S. In questo momento non possiedo la fede e temo di morire senza Cielo."




"Pittore non sforzarti di essere moderno. E' l'unica cosa che sfortunatamente, comunque tu agisca, non potrai evitare di essere"

lunedì 2 maggio 2011

"prima di intraprendere qualcosa devi sapere tutto ciò che ha dentro" (Michelangelo Buonarroti)

 
mi piacciono questi sabato mattina in cui all'imperativo di dare ordine alla mia vita-appartenente al codice dell'ossessivita'- si sostituisce la concessione di momenti solo per me, con chi amo, dove mi piace stare, come desidero essere -appartenente al codice del godimento-.
questa mostra al castello sforzesco mi è piaciuta. "Michelangelo architetto", da un progetto di Casa Buonarroti, presenta oltre 50 disegni suddivisi in temi – dall’edilizia civile a quella religiosa, alle fortificazioni - e selezionati per cercare, in uno schizzo o in un elaborato di presentazione, il  percorso ideale di Michelangelo nella sua concezione dell’architettura: si tratta di progetti celeberrimi, ma talora incompiuti se non addirittura mai realizzati, come quello per la basilica di San Giovanni dei Fiorentini a Roma.
mi sono piaciuti il respiro castellano, la poca gente, il buio delle sale, la scrittura, i video in 3D di alcuni dei grandi progetti michelangioleschi, i disegni e la maestria del tratteggio.
mi affascina osservare la mano imperfetta di un michelangelo, se pur meravigliosamente dotata, impegnata in disegni geometrici, piante, particolari di finestre, colonne e librerie segrete. a volte i disegni sono chiaramente a mano libera, altre volte più precisi, nella maggior parte dei casi sviluppati su carta già utilizzata. è straordinario intuire dietro alla progettazione di una colonna il chiaro profilo di un nudo o di un volto umano. 
tutto questo lavoro assiduo, codificato in modo preciso con una numerazione progressiva delle tavole, sviluppato anche su definizione minuziosa dei blocchi di marmo con tanto di volumetrie e costi, provato e poi ritentato, ideato e poi riprogettato, consegnato al committente e poi non edificato, tutta questa produttività mi piace perchè mi restituisce il senso di una fatica. 
"pensa all'immagine, l'immagine è dentro, basta soltanto spogliarla".
è indubitabile il talento ma il lavoro, la committenza, la progettazione necessitano di fatica quotidiana, di lavoro sui dettagli, di prove e disfatte, di successi e molte delusioni.
è la fatica che percepisco in questi disegni, in questo inchiostro rosso che riempie i volumi e occupa spazi già abitati dall'ideazione di corpi statuari, in questa sovrapposzione di impegni e di creatività. 
non c'è talento che non si costruisca sul duro semplice comune lavoro.
michelangelo, divinamente magistrale, è anche umanamente affaticato.
"Signore, fa che io possa sempre desiderare 
più di quanto riesca a realizzare"