bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 28 luglio 2011

la musica nuda di petra magoni

Milano Jazz'n Festival. Arena di Milano.
la pioggia ci ha graziato e mi sono goduta quest'altra splendida creatura al servizio della musica, Petra Magoni.

lei e il suo complice, Ferruccio Spinetti , al contrabasso. tutto qui.
canzoni nuove da autori differenti (da Pacifico a Max Casacci dei Subsonica), rifacimenti (una bocca di rosa davvero stupefacente), personalizzazione di classici (una famosa aria di Bach con parole adattate da Al Jarreau), ironia, autoironia, divertimento e moltissime risate. a tratti uno spettacolo di cabaret direi.
lei naviga leggera con una voce che le consente qualsiasi cosa, anche l'imitazione sonora credibilissima dell'ansimare dei suoi cani, lui la asseconda come uno straordinario navigatissimo amante. si spazia in campi diversissimi, comune denominatore la bravura, la giocosità, la complicità, il godimento.
una nota piacevole, indipendente dal virtuosissimo duo dei Musica Nuda, il siparietto seduttivo tra un lui biondo maledetto manontroppoconvinto e una lei scosciata e taccata 12 cm con 15 gradi-umidità 90%-minaccia di tempesta, nella fila antecedente la mia.
una scena già vista ma sempre molto godibile, le mossette di lei che gioca con il bicchiere di plastica della birra spalmandoselo ripetutamente sul labbro, con qualche puntatina della lingua, mentre lui le parla del suo amore sperticato per il jazz. se la maja desnuda ha resistito ai crampi da colpo di freddo -credo avesse su una camicia di cotone bianco appena sotto l'inguine, due gambe notevoli non c'è che dire, ma premierei il coraggio sopra ogni cosa- la scena aveva il gusto dell'inutile preambolo al sesso necessariamente occorso di lì a due ore. mi sono immaginata la scena e nella mia fantasia lei continuava a sostenere la parte, anche senza la camicia. e lui continuava a parlarle di jazz..e che jazz!

musica nuda.

lei colorerà le strade
quando passerà.
lei ti leverà la sete
solo se vorrà,
per questo sei là.
tu per questo sei là
per le strade che lei,
sul mondo, fa.

lei travolgerà le case
quando piangerà.
ma ritornerà l'estate
se sorriderà.
per questo sei là
tu per questo sei là
per le strade che lei,
sul mondo, fa.

lei rischiarerà la notte
se ti bacerà.
ma sprofondera l'inferno
se si fermerà.
tu pqe questo sei là
tu per questo sei là.
per le strade che lei,
sul mondo, fa.



martedì 26 luglio 2011

Il fiore selvatico nasce per il sogno e voi nascete per la vita (F.G. Lorca)


ho rivisto F., il fiore, sofferente e piegata, non tanto dalla sua malattia, ma dalla cifra indelebile che si porta addosso.
il destino infame, si potrebbe pensare così, della sua famiglia ha portato anche suo padre a essere malato di tumore, al pancreas, tra i più letali e impietosi. prognosi: infausta. chemio radio e tutto l'immaginabile per una sopravvivenza non oltre l'anno.
una familiarità tumorale impressionante, una corte di parenti prossimi deceduti per patologia tumorale, un destino segnato sui geni, stampato a fuoco, impresso indelebilmente, a volte non c'è scampo, veramente.(http://nuovateoria.blogspot.com/2011/02/sto-morendo-sulla-grandiosita-di-un.html)
è provata ma capisce e capisco, che, oltre al destino infame suo e di suo padre, che moriranno, e di sua madre e di sua sorella, che sopravviveranno (cosa è peggio?), c'è qualcosa di profondamente malato, psichicamente malato, che è in circolo nel sistema immunitario di questa famiglia.
io lo penso ma la prima a dirlo è lei, che conferma una straordinaria capacità intuitiva e una lucidità fuori dal comune, che suo padre si ammala mortalmente di cancro nel tentativo disperato di salvare lei.
dove può arrivare la psiche, fino a che punto può orientare il nostro corpo, quanto mente e corpo si solidificano insieme, dove può portare la sofferenza per la futura perdita di una figlia che si rifiuta, senza ripensamenti, di curare dalla mutazione tumorale le proprie ossa e mammelle con chemioterapia e altri aggeggi? può portare ad ammalarsi di cancro per chiedere alla propria figlia di curarsi per salvarsi "almeno lei"?
si, può.
e F. sta male. ma male. cosa devo fare? mi chiede. come posso dormire la notte? come posso vivere serenamente e consapevolmente quel che mi rimane se mio padre mi chiede di curarmi per evitare alla famiglia un dolore amplificato, raddoppiato, moltiplicato all'infinito? mio padre mi chiede di non morire dato che ora deve morire lui.
in questa famiglia la vita si baratta con la morte, e l'amore si baratta con la morte. la sofferenza è l'unità di misura dell'amore, il cancro, la malattia, lo scacco e il ricatto sono il prezzo della libertà di scelta.
avevo la pelle d'oca, ero imbarazzata, ero scompaginata a questo racconto. è follia? è amore? è morte?
eppure non l'ho inventato, questa può essere vita vera. la vita degli altri. la nostra vita.

venerdì 22 luglio 2011

foto di mare


lo ferma nello scatto
contro il mare, su questa spiaggia
ignota, i giochi sono
rosso-accesi di plastica,
gommosi, il tempo
questo presente alieno
che solo la memoria
soccorre e incrina,
io ero come te castano
e assorto,
ma non vedo il secchiello,
gettato oltre la foto,
nella rena sperso,
s'è fatto grigio eterno
come l'onda e il viso
come quelle palline a spicchi grandi
con Magni e Coppi,
il tunnel smisurato
che la spuma circonda
e assedia invano


anche per te
il tempo
farà così distanti
i giochi accesi,
sbiancheranno i colori
nella carta,
dopo,
in una persa spiaggia,
fotografano la vita
tua, remota

Umberto Piersanti

martedì 19 luglio 2011

corpo celeste

marta ha 13 anni e le tocca la cresima.
vive con una mamma, giovanissima, e una sorella, gelosissima.
del padre non ci sono notizie.
prima viveva in svizzera, ora è tornata in una città del sud, questo è certo, ma io non ricordo quale. poco importa.
forse reggio calabria.
marta ha un volto bellissimo, io non smettevo di guardarla incantata e di pensare: ma che faccia ha questa ragazza? si traveste con i reggiseni della sorella, parla poco, o proprio non parla e se parla ha una voce da adulta.
la realtà della sua città è francamente desolante. il parroco è un arrivista opportunista, risponde al cellulare in qualsiasi occasione come un manager qualunque, si annoia ai preparativi, peraltro imbarazzanti, per la cresima dei giovani futuri adepti della comunità, la sua fede è un'opzione di seconda scelta, la sua chiesa vende poltrone politiche, riscuote gli affitti, allestisce feste squallide in favore delle onorificenze del paese.
come si trova in tutto questo la giovane e sensibile marta? male. male da schifo.
se ride con leggerezza le danno uno schiaffo, se si oppone la riportano a regime, se si pensa adulta le ricordano che è una bambina, se esprime il suo disagio -e meno male che lo avverte senza omologarsi- le ricordano i suoi doveri.
ci sono scene in questo film veramente toccanti, raffigurazioni delicate e potenti al tempo stesso. chi filma, una giovane regista esordiente di nome Alice Rohrwacher (sorella dell'attrice Alba), lo fa con un tocco a mio parere sapiente. chi filma guarda senza giudizio ma anche senza riserve nè sconti. chi filma usa gli occhi di marta e mostra un mondo adulto davvero poco desiderabile.
come farà marta a diventare grande in un mondo di sozzure e menzogne travestite di catechismo della peggior retorica? marta si muove a fatica in questa realtà che non trova autenticità di espressione, impara a memoria diciture del vangelo e frasi di una canzone come "mi sintonizzo con dio, è la frequenza giusta". cammina lungo il fiume, sporco e destinatario dei rifiuti della città, una ferita sotterranea della città, alla ricerca di qualcosa che risponda alle sue domande e vi si immerge vestita da cresima come a battezzarsi.
il suo corpo è acerbo e destinato alla cultura delle devozioni senza fede ma l'incontro, in un paese abbandonato in cui si reca con il suo parroco per recuperare un antico crocefisso, con un vecchio prete solitario e bizzarro che per la prima volta, finalmente, le leggerà il vangelo, le consentirà di dare un senso alla sue domande. il vecchio le descrive Gesù non tanto come un santo dolce e buono, irraggiungibile nella sua perfezione celeste, ma come un uomo solo e furioso, più simile alla ferita della sua adolescenza che all’immagine edulcorata che le propinano nei disegni del catechismo.

“…Le leggende e i testi scolastici parlavano dello spazio azzurro e dei corpi celesti come di un sovramondo. Agli abitanti della Terra essi aprivano tacitamente le grandi mappe dei sogni, svegliavano un confuso senso di colpevolezza. Mai avremmo conosciuto da vicino un corpo celeste! Non ne eravamo degni! Invece, su un corpo celeste collocato nello spazio viviamo anche noi: corpo celeste, o oggetto del sovramondo era anche la Terra, una volta sollevato quel cartellino col nome di pianeta Terra. Eravamo quel sovramondo”.
ANNA MARIA ORTESE, Corpo Celeste

marta capisce che il corpo non è solo celeste come vorrebbero farle credere, il corpo è anima e sangue, come quello di cristo sulla croce. come dice Anna Maria Ortese, autrice del libro da cui il film è tratto, il Corpo Celeste, il sovramondo, è già qui.

domenica 17 luglio 2011

un minuto prima

"Milano. Vivo in una città occupata da gente occupatissima. Camminano tutti svelti, guardano le donne solo dopo le nove di sera. Questa città si sveglia ogni giorno un minuto prima."
Marcello Marchesi

la mostra su rimini di Pesaresi l'ho vista quasi per caso. il mio obiettivo era lo spazio forma e questa rassegna di giovani fotografi, dal titolo "un minuto prima". Molte foto, alcune veramente inutili, altre più ispirate, ma comunque è sempre un bell'evento camminare in un luogo che raccoglie stimoli, iniziative e voglia di emergere. Ho visto realtà urbane segregate e periferiche raccontate da spirito poetico, penso che ogni luogo può essere fecondo se coltivato dal pensiero.
penso anche che una settimana come quella appena passata ha qualcosa di strepitoso in sè.
sono partita domenica sera alle 18 con lo spazio forma e ho concluso venerdì sera con un concerto inaspettato veramente emozionante.
Milano, la Milano che si sveglia ogni giorno un minuto prima, innegabilmente, sa dare moltissime opportunità a chi le sa cogliere. mi rendo conto che le proposte di questa città sono inesauribili, non potrei viverle tutte, nemmeno se fossi una baby pensionata.
dopo lo spazio forma sono andata a La Milanesiana, rassegna culturale curata da Elisabetta Sgarbi, sorella del più famoso Vittorio, ragguardevole intento di indagine intellettuale alla portata di tutti, una ricchezza di immagini, riflessioni, accostamenti e interpretazioni con interventi di personaggi e interpreti dalle estrazioni più diverse che ogni anno mi lascia sbalordita.
il posto è il teatro di Verdura in via Senato, anche questa una scoperta che ha dell'incredibile. un luogo di Milano, tra colonne e alberi, viali e fiori di cui non conoscevo l'esistenza.



quest'anno La Milanesiana è anche filosofia e riserva a questo splendido teatro all'aperto un programma tutto speculativo, che sviluppa il tema generale del festival - bugie e verità - nelle forme che può prendere attraverso la voce: l'urlo e il silenzio.
la serata prende l'avvio dalla lettura del cantico di Giovanni della Croce, un  meraviglioso sogno mistico che narra l'incontro tra l'anima e dio, la sposa con il suo sposo.
...
L’Amato le montagne,
le boschive valli solitarie,
le isole inesplorate,
i fiumi gorgoglianti,
il sibilo dei venti innamorati,

la quiete della notte
vicina allo spuntar dell’aurora,
musica silenziosa,
solitudin sonora,
cena che ristora e innamora.
...
procede sotto la pioggia che la rende magicamente romantica, si sviluppa attraverso interventi filosofici diversi tra cui quello di Carlo Sini sul "primo urlo" e un'intervista immaginata a S. Agostino messa in scena da Roberta de Monticelli e Andrea Renzi. 
potrebbe parere difficile ma, credetemi, uno sballo.
e già mi domando come ho fatto a meritare tutto questo.
la sera dopo arrivo in ritardo, causa un milanesisssssssimo aperitivo tra colleghi di lavoro in procinto di andare al mare, e partecipo all'evento filosofico solo attraverso uno schermo posto al di fuori del teatro delle meraviglie. si parte dalla lettura dell'ideologia tedesca di Marx e si finisce con una riflessione di Vattimo sulla TAV. il potere tacita o delegittima la parola dell'opposizione. lo zero matematico non equivale al nulla. interessante ma si è persa la magia...mi consolo con un succulento gelato di Grom.
la sera del mio compleanno mi delizio, nonostante i 40 gradi serali, ai giardini dell'Umanitaria con un cinema all'aperto che mi propone un film che merita un post: "Corpo celeste", esordio inaspettatamente brillante di una giovane regista che narra l'incontro sfortunato di un'adolescente con il mondo marcio e inaffidabile degli adulti in un luogo di degrado culturale travestito da santità della cresima. 

piove, durante il film piove, fa ancora più caldo, trasudo umidità, ma mi incanto sotto un ombrello -l'esperienza insegna-  che mi fa vedere il film in uno spazio svuotato di tutti gli spettatori: file di sedie vuote e io abbracciata sotto l'ombrello con la pioggia che cade. una scena degna dell'illusionista.
una sosta forzata di due giorni mi conduce alla fine a una serata con un'amica che mi propone un concerto in quel di Pero al festival dell’Integrazione e della Multiculturalità. un titolo che merita il viaggio.
ma lo merita sopra ogni cosa la musicalità di folle bellezza di Patrizia Laquidara, artista siciliana di origine e veneta di adozione che presenta questo suo ultimo progetto, “Il Canto dell’Anguana”, che vuole dar voce alla figura dell’anguana, misteriosa e quasi dimenticata creatura femminile della tradizione popolare veneta. una musica che spazia nell'infinito passando per la fiaba, i boschi e il mito del cavaliere della morte sul cavallo bianco condita da una sonorità che viene dal sud. un'integrazione mirabile direi, degna del titolo del festival. indimenticabile serata. indimenticabile artista di irresistibile bellezza. 

una vacanza che non finiva mai, adesso però è finita, domani mi sveglierò un minuto prima.

mercoledì 13 luglio 2011

rimini

“Pensare a Rimini. Rimini: una parola fatta di aste, di soldatini in fila. Non riesco a oggettivare. Rimini è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto del mare. Lì la nostalgia si fa più limpida, specie il mare d’inverno, le creste bianche, il gran vento, come l’ho vista la prima volta”.
Federico Fellini










Marco Pesaresi è morto nel 2001, ed era nato a Rimini, nel 1964.
le sue foto, allo spazio forma di Milano, sono strepitose.
colgono lo spirito, tengono fisso lo sguardo.
e intrappolano il cuore.
le trovo autentiche, nostalgiche, toccanti.
mi piacciono da matti. sono appena stata da quelle parti, ho provato a fare foto, poi ho visto queste, così sapienti e sentimentali, e ho buttato tutto nel cestino.

«Ho deciso di fare il fotografo... non lo so neanche io perché: perché mi sono trovato la fotografia addosso. Tendo a fare le foto per necessità interiore. Comunque alla base di tutto c'è il sentimento. Ci sono delle immmagini che mi interessano di più perché sono formate da segni e da simboli vicini alla mia storia di uomo, alla mia cultura. E allora cerco di rappresentarle con più energia, con più interesse: mi identifico con quello che faccio.
I miei occhi, la mia persona sono eccitati dalla sinuosità, dalla dolcezza e dal vissuto. Nell'istantanea ci sono queste condizioni, sono attimi di percezione che implicano queste condizioni che convergono. E tu le fermi.
...
La Minox è una macchina straordinaria, che ti permette di non disturbare le persone, di essere discreto, leggero, agile, furtivo, libero. Una grande macchina, grande. E soprattutto non sei fotografo. E questa è la cosa più straordinaria.
La mia fotografia prende corpo - nasce - da tradizioni contadine, di campagna; e si sviluppa nella poesia del mare d'inverno; accompagnandosi a immagini di libertà, di emancipazione, di trasgressione nella notte. Però, comunque, nasce dalla campagna.
Io amo questa terra, la amo con tutto il cuore. Ne amo i luoghi, mi piacciono i luoghi. E poi mi piace tantissimo - questa terra - perché muta in continuazione. Nulla è mai uguale all'anno precedente, tutto è in evoluzione continua.
Più soffro e più mi affanno nella ricerca della poesia. Più sento che dentro di me vivo situazioni di disturbo, difficili - cose che purtroppo nella mia vita continuamente incontro - più il mio sguardo si addolcisce. E più cerca la serenità l'armonia delle immagini. E qualche volta le trova.»
Marco Pesaresi

domenica 10 luglio 2011

messaggio muto


erano tutti li', al bagno Medusa. Pinarella di Cervia.
sotto i tendoni, quelli che ospitano il bar e i ragazzini vocianti e le mamme asfissianti.
e il contrasto era quello.
quello del rumore, che non c'e'.
del linguggio, senza parola.
passo di fianco, all'inizio non capisco ma qualcosa mi colpisce.
parlano, eppure sono zitti.
ma e' evidente che parlano, interloquiscono, comunicano, alcuni si scaldano, forse litigano!
parlano del lodo mondadori o di quel cretino -non l'ho detto io- di brunetta, o di quel farabutto di milanese...quale?
e per una volta la diversa sono io, parlano e non capisco, non comprendo, non sono parte.
li guardo, osservo quel parlare fatto di gesti, di mani, molte mani, di dita e di smorfie della faccia, quelle storpiature della bocca che gli udenti e parlanti non si scolpiscono sul viso. non saper parlare imprime uno sforzo deturpante nella modulazione della bocca, nelle espressioni del volto.
saranno stati in venti, tutti li' a ritrovarsi, a parlar del mondo e della stortura della gente. ma e' ben strana 'sta gente, non trovi?
avrei voluto farlo notare, indicare l'unicita' e la particolarita' dell'evento, ma poi segnalarli mi e' sembrato un gesto discriminante, una sottolineatura che mi avrebbe inesorabilmente esclusa.