bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 26 gennaio 2012

nuovomondo

Crialese, il regista.
tra i suoi film ho visto anche Respiro e Terraferma.
l'impronta e' quella, gente del sud, anima calda, terre arse.
ma in questo c'e' un tocco speciale, artistico e creativo.
agli inizi del XX secolo la famiglia siciliana dei Mancuso lascia un paese povero e bruciato dal sole dell'entroterra alla volta dell'America. Salvatore, i suoi figli e sua madre, dopo aver interrogato un'immagine sacra, vendono i loro averi in cambio di vestiti e scarpe buone e si imbarcano con altri italiani alla volta dell'america.
e' all'imbarco che conoscono Lucy, elegante donna inglese -una diafana Charlotte Gainsbourg- che si distingue in tutto il suo candore aristocratico: viaggia inspiegabilmente con gli italiani ed è il simbolo dell’emancipazione femminile. lei è l'anticipazione del nuovo mondo, è il primo inequivocabile e luminoso segno di un cambiamento.
il nuovo mondo in cui la famiglia sbarca è ben diverso da come si era illusa di trovarlo. gli emigranti devono sottoporsi a una serie di controlli medici grossolani e a prove psicoattitudinali razziste e ignoranti. le donne, per poter entrare definitivamente in america, devono essere sposate, o diventarlo sul momento: ed e' cosi' che Lucy, mentre le altre si ritrovano a conoscere e a dover accettare immediatamente mariti sconosciuti connazionali già residenti in america, compila il modulo per Salvatore facendone il suo sposo.
non è una storia d'amore, Lucy non ama, Salvatore sogna, è la storia di una promessa.
di una promessa di felicità.
non sappiamo se sarà amore, non sappiamo se sarà lavoro, non sappiamo se sarà vita migliore.
sappiamo che siamo in viaggio. siamo sempre in viaggio?
la nave sta per salpare, è vista dall'alto. l'inquadratura è fatta solo di gente, teste di persone, centinaia. eppure si capisce che quelle teste sono su due piani diversi, sopra e sotto. sopra chi parte, sotto chi resta. la nave si stacca dal molo...ed ecco la magia del cinema, le teste di chi si rinnova e quelle di chi si conserva. una separazione dolorosa ma necessaria: ogni cambiamento ha in sè una quota di dolore, di rischio e di dolore.
la nave è partita ed è abitata da uomini e donne. le camerate sono separate ma la facilmente comunicanti e raggiungibili, poco spazio distanzia la branda di uno da quella di un'altra. un giovane si aggira di notte tra le donne che dormono, ne osserva i corpi, rapito. non tocca, guarda estasiato da quelle curve che emergono come onde del mare. si ferma, c'è una qualcosa che merita di più, inabissa la sua testa tra le cosce di una dormiente e, senza toccare, annusa. l'odore del mare, della terra che lo attende.

c'è una sacralità da cui si parte, la terra dell'origine, dei riti magici, delle suggestioni mitiche, delle stregonerie di una terra ignorante, e una sacralità che si ricrea nella solidarietà del gruppo in viaggio. le riprese della nave sono quasi solo interne, il mare si vede qualche volta, ma la vita è dentro, nelle camerate, nel profondo delle stive. il viaggio è la parte più suggestiva del film, è il luogo del viaggio inteso come passaggio, come cambiamento, come avviamento.

alla fine, quando la promessa di matrimonio è ormai stipulata, quando ormai i giochi sono fatti, quando qualcuno deve ritornare in patria per non idoneità al mondo nuovo, per presunta inabilità al cambiamento, il passaggio al nuovo si compie in un lago di latte, latte materno, latte di crescita, latte che nutre.
si nuota nella vita, nel pricipio attivo di una vita promessa.

ora, qual è la promessa? la nostra?
qual è il nuovo mondo? questo? lungo le coste di Lampedusa? 



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