bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 27 luglio 2012

kitsch: corruzione estetica

tutto molto kitsch alla mostra sul Kitsch della triennale di Milano.

è divertente e orrifico allo stesso tempo questo mondo ipercolorato, iperbolico, iperespressivo, iperrapresentativo. 
il kitsch ha bisogno di "dire" a tutti i costi superando il senso stesso delle cose, delle persone, delle situazioni, consegnandole a un altro senso, quello del luogo comune, e sottraendole all'autenticità.
una poltrona è più di una poltrona, un'opera d'arte è più di un'immagine simbolica, un vestito è oltre ed è troppo è di più, un oggetto è ancora più su, è un oggetto a tutti i costi che deve dire tutto a tutti i costi. uno stato maniacale costante, un eccesso di materia di sostanza che livella tutto alla dimensione del cattivo gusto, o dell'assenza di gusto.
alla mostra ci si aggira tra oggetti di arredamento, soprammobili, immagini sante santissime, dipinti, statuine ascensionali, santuari horror rock, mussolini che emerge da un piatto di pasta e e topo gigio gambizzato da una trappola per topi. e qualche Dalì che gioca volutamente con l'eccesso e altri artisti come Baj con Madame Garonne. sono quindi presenti opere di artisti che volutamente giocano con l'immaginario kitsch, e oggetti che kitsch lo sono diventati e appartengono alla nostra quotidianità.
la parte interessantissima è quella al termine dell'esposizione in cui vengono raccolte le riflessioni in materia di Gillo Dorfles, critico d'arte e professore universitario di estetica, autore nel 1968 di “Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto”, una serie di approfondimenti teorici che hanno aiutato a descrivere il concetto di kitsch in tutte le sue articolazioni. la riflessione sul kitsch è una riflessione sul nostro tempo, o sul tempo di sempre, sull'espropriazione dell'autenticità a favore dell'omologazione, del superfluo, della ripetizione, della corruzione estetica. 
Afferma Gillo Dorfles: “Come sempre, sono l’intenzione e la consapevolezza, sia rispetto all’utilizzo delle tecniche sia nei riguardi dei contenuti, che trasformano un oggetto, una forma, ma anche un comportamento, in un’opera, in un linguaggio che sentiamo veri e autentici. Se non esiste la dimensione culturale, ogni forma d’arte è destinata a cadere nella trappola di un kitsch più o meno consapevole. La vera arte non è mai “maliziosa”; il kitsch lo è, e questa è la sua essenza. È necessario conoscerlo, anche frequentarlo e, perché no, qualche volta utilizzarlo, senza farsi mai prendere la mano. Perché il cattivo gusto è sempre in agguato”
alcuni capolavori della storia dell’arte come il Mosé di Michelangelo, la Gioconda di Leonardo sono “divenuti emblemi kitsch perché ormai riprodotti trivialmente e conosciuti, non per i loro autentici valori ma per il surrogato sentimentale o tecnico dei loro valori”.
“L’industrializzazione culturale", afferma Dorfles, "estesa al mondo delle immagini artistiche ha condotto con sé un’esasperazione delle tradizionali distinzioni tra i diversi strati socio-culturali. La cultura di massa è venuta ad acquistare dei caratteri assai diversi (almeno apparentemente) dalla cultura d’élite, e ha reso assai più ubiquitario e trionfante il kitsch dell’arte stessa.”










assistiamo a questa imprevedibile oscillazione del gusto, al passaggio veloce tra alto e basso, tra destra e sinistra, come se tutto fosse possibile. il kitsch è pervasivo, sempre in agguato e malizioso, mentre, dice Dorfles, la vera arte non lo è.
quell'arte che prova a "dire" affidandosi a rappresentazioni simboliche del senso del mondo, nella ricerca del bello e dell'autentico, consapevolmente.
"perchè sono queste qualità, l'intenzione e la consapevolezza, sia rispetto all'utilizzo delle tecniche sia nei riguardi dei contenuti, che trasformano un oggetto, una forma o un comportamento in un'opera. in un linguaggio autentico".

lunedì 23 luglio 2012

e ora buongiorno alle nostre due anime

deviantart.com, Spiegelturm 

intanto quel brano secondo Matteo, secondo cui "per questo l'uomo abbandonerà sua madre e suo madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne".
ecco, già lì non sono d'accordo. chi ancora non sa che per farla funzionare, la coppia, i due partecipanti devono separare sempre e per sempre e molto bene la carne l'uno dall'altra? essere una cosa sola è un buon modo per mandare tutto a quel paese, mentre ognuno con la propria carne e ben separato dall'altro e per questo capace di amarlo, è il solo modo per tenerlo in piedi, quel rapporto.
non mi piace quel che sento. una sta in analisi tutta una vita, e fa la psicoterapeuta, per poi finire inginocchiata a prostrarsi davanti a nostro signore affidandogli la felicità della propria vita. un'analisi per liberarsi di un padre per poi consegnarsi ad un altro. psicoanalisi e religione, fede in dio, si conciliano?
ma non è solo questo, anzi questo è il meno. è tutta la cerimonia che proprio non mi va. non mi convince, di più, mi fa un po' ridere, da sempre devo dire. non ho visto un matrimonio diverso dall'altro e forse per qualcuno la forza del rito risiede proprio in questa ripetizione, ma è anche vero, secondo me, che mettersi quella maschera  velata come centinaia di milioni prima di te, fare gli stessi passi, dire le stesse cose, mettere lo stesso vestito, ricevere lo stesso riso, fare le stesse fotografie e metterle nello stesso album, svuotano di un senso proprio quel passo di marcia stentato verso l'altare.
ho provato tenerezza per quella fede che ti fa fare quel gesto sempre uguale pensando sia unico.
non una fede in dio, la fede che nella ripetizione ci sia la certezza.
la lista di nozze, le cose che non vanno, le prove dalla sarta, la pasticceria che disdice all'ultimo, i fiori che non arrivano, l'ultima settimana di follia, il vestito bianco e qualcosa di blu. giusto? è rassicurante? è necessario? è un sigillo? un permesso? un'approvazione? una promessa di successo? o un'omologazione?cos'è?
non mi piace quel che vedo. è una finzione, come sono finte le donne che si mascherano per l'occasione. ho pregato (!) per non sembrare disautentica come tutte le femmine a quelle cerimonia, ma temo di non essermi salvata. vedi gente che incontri tutti i giorni e improvvisamente le rivedi improvvisate su tacchi vertiginosi, vestiti fasciati, colori improbabili, rossetti e unghie fluo. ma chi sei? sei tu? cosa ti è successo? ma l'eleganza è un'altra cosa...pittata e travestita spesso il risultato è ridicolo. un po' goffo e grottesco. come la sposa, anche le non spose -aspiranti spose?- si mascherano, per l'occasione. la riconosci per strada una che sta andando a un matrimonio. in tenuta da celebrazione. cosa c'è di autentico in questo? cosa c'è di mio in questo? cos'è?
c'era una donna, indiana, non so che ruolo avesse, di chi fosse amica.ho guardato i suoi occhi, i suoi capelli, non quelle cofane cotonate dal parrucchiere un'ora prima, e un vestito indiano nero venato di disegni d'oro sottili e discreti. un ricamo. un riverbero di eleganza autentica, una bellezza leggiadra, una grazia irresistibile. aveva la sua storia e la sua cultura addosso.bellisima, rara.
ha piovuto, ha grandinato, l'uscita dalla chiesa, quella solenne come l'entrata, è stata rimandata. la sosta ha falsato l'andamento, lo ha reso claudicante. tutti dentro, spioverà. la sposa è accaldata, ma si vede che è felice, ci crede, che sia il suo momento, il suo giorno. smette, tutti fuori, il film riprende da dove era stato sospeso e tutti fingono stupore all'uscita della coppia, e vai con il riso e vai con il bacio di rito. perchè ho già visto tutto questo? cosa c'è di bello in tutto questo? cosa c'è di salvifico in tutto questo? cos'è?

la guardo, la sposa, il vestito è lungo. bianco.
ma l'orlo si solleva, è bagnato, nero, sporco.
quanto dura l'incanto? e il candore?

alla festa non c'ero, forse lì, dove si esprime di ognuno il talento, tutto il vero si è mostrato, tutto il senso si è dato, tutto l'amore si è consegnato.
siate felici, davvero, e datevi sempre il buongiorno ogni mattina, and good luck.
come "il buongiorno" di Jhon Donne, che ho augurato agli sposi e che fa sembrare credibile ciò che forse non lo è.
ma questa è un'altra storia, questa è la poesia.
...
E ora buongiorno alle nostre due anime 
che si svegliano e si guardano 
l'un l'altra, non per paura, 
perché amore, amore d'altre viste esclude 
e fa di una stanzetta un ogni dove. 
Lasciamo ai naviganti i nuovi mondi. 
Lasciamo ad altri anche le carte 
- mondi su mondi hanno mostrato.
Teniamo un mondo solo noi che abbiamo 
il nostro proprio mondo, e un mondo siamo. 


 Il mio volto nei tuoi occhi. Il tuo nei miei. 
Cuori sinceri e aperti sui nostri volti. 
Dove possiamo trovare due emisferi più perfetti, 
senza tagliente nord, senza caduco occaso? 
Ciò che muore non fu commisto in parti uguali; 
se il tuo, il mio amore è uno, 
o tu e io in amore siamo così uguali, 
nessuno può morire, nessuno può mancare.

venerdì 20 luglio 2012

sotto la fronte tragica e tremenda

Per un sentiero vanno gli ortolani,
è la sacra ora del ritorno,
con il sangue ingiuriato dal peso
d´inverni, primavere ed estati.

Vengono da sforzi sovraumani

 e vanno alla canzone e vanno al bacio,
e lasciano nell´aria impresso
un odore di utensili e di mani.

Per un altro sentiero io, per un altro sentiero

che non conduce al bacio anche se è l´ora,
ma gironzola senza destino.

Sotto la fronte tragica e tremenda,

un solitario toro, sulla riva, piange;
dimenticandosi che è toro e mascolino.

Miguel Hernández 
Pablo Picasso- Minotauro che accarezza una donna addormentata


questa poesia l'ho letta un mese fa sotto il sole di fine giugno, al mare, e sono rimasta così, colpita da un'insolazione. la presenta al pubblico il Corriere della Sera allegata a un articolo di Guido Ceronetti, tipo che di certo non le manda a dire, sulla violenza. la violenza degli uomini. del maschio. del maschio toro e mascolino.


...La famiglia è stata oppressiva sempre, Saturno ha sempre sgranocchiato i suoi figli (vedi Goya, e là vedi la famiglia), e adesso è il cuore della decomposizione morale della nostra miseranda vita associata. Lì non c' è appiglio. La mentalità imbecilloide ci vede un punto importante del suo delirio economicista, ma un inferno famigliare non è fatto di soldi in più o in meno. È tutto enigma. Poiché la strage di donne giovani (quasi sempre tra 15 e 30) ci morde nella nuca, meno si fanno deplorazioni, più si lenzuola di reverenza le povere vittime. Per portarne il lutto come intera civitas in colpa, bisogna prima capire. E neppure brancicare in vaghe punizioni, senza prima aver sciolto, dell' enigma criminale, una parte almeno. E allora bisogna aprire un varco al capire. L' archetipo dell' Eterno Mascolino (come lo chiama Frank Thiess in Tsushima, romanzo illeggibile per qualsiasi donna) è una combinazione, in dosi diverse, di lacrime e di forza, entrambe generatrici di violenza. Le lacrime della forza e la forza delle lacrime. Traduco, per semplificare, questi tre versi di Miguel Hernández, dalla sublimità irraggiungibile (ma non siate pigri nel cercarli in castigliano): «Sotto la fronte tragica e tremenda, un solitario toro, sulla riva, piange; dimentica che è toro, e mascolino». Accidenti, questo è avere palle di poeta! Sono tre versi che toccano il fondo dell' archetipo maschile. Da sottolineare tragica, tremenda e il muggito di dolore del contrasto toro e piange. Il toro-uomo si nasconde per piangere, non dà cornate ma piange; il toro-uomo è la forza che piange, che nelle lacrime perde la coscienza di quel che è toro, dimentica la sua taurinità di maschio tragico, tremendo. Questa è la mascolinità, la virilità profonda. La capacità riproduttiva è del tutto secondaria: l' archetipo spirituale la ignora. Jung diceva che la virilità consiste nella misura della capacità di lavoro. Tra i sessi, la complementarità è mosca bianca. Il conflitto regna. Nel simbolismo del toro-che-piange, chi uccide una donna è un non-toro, l' immagine degradata del maschio, un non-cresciuto incordonato ancora al grembo materno, una caricatura di toro privo di lacrime. Dalla gelosia ad ogni altro motivo, nell' uccidere una donna non c' è che ignominia. Una società in cui un simile crimine si è fatto così frequente non è degna neppure di divenire storica: è in corsa verso una preistoria etica in cui tutto è foresta di scimmie sanguinarie, e l' uomo perde la cittadinanza umana. Si può uccidere per proteggere una donna, un bambino, in una radicale etica mascolina; ma, ti faccia o no soffrire una donna, puoi restare soltanto toro-che-piange in solitudine sulla riva deserta, per non perdere la mascolinità, le mani pure. Trovo una spiegazione ad una folta parte di questi crimini nell' inesorabile declino della forza d' animo maschile. La dipendenza tecnologica è forse la causa principale della nostra incapacità crescente di sopportare la perdita del sostegno femminile, dall' infanzia alla morte. L' uomo adulto è in realtà un bambulto: se la donna con cui vive si sveglia dall' ipnosi sessuale e vede nel compagno un bambulto di canna rotta, fa le valigie, lo lascia per un altro che le sembri un po' più valido (basta poco, se ne contentano), e nel trasloco può incontrare l' orrida maschera d' assassino del debole abbandonato che non tollera di perdere quel forzato, rassicurante sostegno, la persecuzione sadica delle telefonate e delle minacce, e una nuova incertezza, per sé e gli eventuali figli, perché l' accerchiamento delle dipendenze maschili è dappertutto, eccetto dove c' è povertà e verità di toro che invece (oh stupore!) di accoltellare ignobilmente, ha imparato regole ancestrali di cavalleria dagli angeli, da qualcosa che è fuori da questo irredimibile mondo.
Guido Ceronetti, 24 Giugno 2012

non so se mi piace di più la poesia o l'articolo, ma di certo non mi abbandona più l'immagine del toro, solo, che piange sotto il peso incommensurabile, tragico e tremendo, della sua mascolinità e del mandato moralmente altissimo e ancestrale che comporta. in effetti mi aspetto moltissimo dagli uomini, anche lacrime e sangue.

martedì 17 luglio 2012

luoghi

anche quest'anno Milanesiana, meno di quel che avrei voluto ma francamente non tutto si può fare.

anche perchè a forzare la mano mi stanco e non riesco più a seguire, in sostanza a capire.
il tema quest'anno è perfezione e imperfezione. da molti e variati variabili immaginabili punti di vista.
naturalmente tutti elevano l'imperfezione a unica forma di perfezione possibile. solo la mancanza ci fa perfetti, solo l'assenza ci fa assoluti.
nessuno che abbia avuto il coraggio di dire, che io abbia ascoltato, che la perfezione è, di fatto, invece, la vocazione di molti e che il modello rimane ancora, a torto o a ragione, intramontabile. molti di quelli che evocavano l'imperfezione si volevano al contrario mostrare tutt'altro che imperfetti. ma potenzialmente perfetti. difficile districarsi in questo dilemma, ma forse a volte manca l'umiltà a renderci credibili. 
giusto ieri sera ho visto un film che non qualificherei in nessun modo se non francamente pesante e fallimentare nel suo stile cupo e funereo,  verboso oltre modo, Cosmopolis di Cronenberg. la cosa migliore è stata la location, Arianteo all'aperto...niente po' po' di meno che nel cortile del Castello Sforzesco. serata meravigliosa, non da un punto di vista umorale, ma per aria tersa luminosa benchè serale adamantina dell'estate migliore che si possa desiderare sulla pelle e negli occhi. il film è la lenta e inesorabile caduta dal limbo degli dei all'inferno dei cenciosi di un personaggio che non saprei individuare se non come l'indefinibile e impalpabile insostanza del broker miliardario di successo. la perfezione auspicabile in un mondo disossato da tutto ciò che è alla base della definizione di umano. un vuoto cosmico travestito da pupazzo metropolitano.
la perfezione sostenuta dalla potenza della "conoscenza" virtuale e dal castello, altrettanto virtuale, del denaro. alla fine, disfatto, sporco, impoverito, assassino, si mostra bucato e vulnerabile, perfino dalla malinconia, si spara in una mano, mostrando perfino di provare dolore. dalla perfezione del robot codificato che si sottopone quotidianamente all'esplorazione rettale a prevenzione di qualsivoglia imperturbabilità di funzionamento della macchina umana, all'imperfezione del sangue misto a brandelli di carne bruciata che cola sui vestiti di sartoria. un mutamento umano globale, cui fa da specchio il mutamento globale ambientale. il suo potenziale carnefice, che lo insegue, mai visto ma solo minacciosamente vagheggiato per tutto il film, vuole eliminarlo proprio in virtù della sua insopportabile e ineguagliabile perfezione. ma, a vederlo così miseramente umano, così mortalmente fallibile, si sente disperato. "tu avresti dovuto salvarmi", dalla mia dannazione, e invece sei orribilmente simile a me: un uomo senza speranza. 
tornando alla Milanesiana, ancora una volta, l'aspetto mirabilis della serata del 12, mio compleanno, è stata lil luogo del suo svolgimento. c'erano Elisabetta Sgarbi, curatrice della rassegna, e molti filosofi, alcuni forse veri altri forse presunti, c'era un marxista comunista encomiabile per la sua rara preziosità, c'era Walter Siti che ha sostenuto che la perfezione di chi ha imparato dall'esperienza è il perdono. parole che potrei tratuarmi sul corpo tanto le condivido, ma non sono ancora messa così male, anche se ormai la mia, di parola, ha perso totalmente e depressivamente valore per chiunque.
le serata si è svolta alla Pirelli, in un auditorium che però era molto più di un auditorium. si entra da viale Sarca e ci si inoltra in una specie di bosco fitto, un'oasi nella zona avveniristica della Bicocca. addentrandosi per un viale, per l'occasione segnalato da candele sul percorso, si avvista una vecchia villa, forse ora disabitata e impiegata solo per operazioni di rappresentanza, ma dall'aspetto fiabesco, forse anche solo per la sorpresa di trovarcela. si tratta della Bicocca degli Arcimboldi (da qui il nome Bicocca di quest'area di Milano), costruita nel 1464 su commissione degli Arcimboldi (cui è dedicato il teatro omonimo), come casino di caccia e per la villeggiatura della famiglia.
la villa appare un oggetto di antiquariato nascosto che è, ancora oggi, volutamente isolato; nell'immediato intorno l'era post-industriale ha reinterpretato l'area dello stabilimento Pirelli con le moderne forme terziarie che determinano oggi il paesaggio della "nuova Bicocca". superata la villa si arriva infatti alla struttura moderna dell'azienda e si giunge all'AUDITORIUM; che altro non è che la torre di raffreddamento della fabbrica, ora ovviamente riadattata, racchiusa e incastonata in una stuttura di vetro che consente di vederla già dall'esterno.


un posto incredibile. un'emozione direi. amo moltissimo questi recuperi di architettura industriale ad uso culturale. è il futuro che si anima del passato. bellissimo.
milanesi andate alla Milanesiana (che forse è anche finita ma veniva bene l'invocazione).

lunedì 16 luglio 2012

il segreto del successo è di fare della vostra vocazione la vostra vacanza


che delizia e che sollazzo queste immagini di Jean-Jacques Sempé, autore che ho scoperto tramite la copertina de "la lettura".
è un noto e illustre disegnatore francese, non potevamo dubitarne, di leggiadra infinita saggezza e talento, famoso per essere l'illustratore dei libri per bambini della serie Le petit Nicolas.
non so quante ne ho viste e riviste, di queste vignette umoristiche popolate di gente comune bambini vigili psicoanalisti  coppie sognanti e stantie e borghesia ottusa, e non so quanti sorrisi ho fatto, a volte anche di più. gli spazi sono grandi, i soffitti alti e gli uomini piccoli piccoli, come piccola a volte è la loro anima. il loro spirito. meglio prenderla alla leggera certa vita così ridicolmente meschina, così grottesca e dal retrogusto amaro.
e data la giornata veramente funerea, ben venga un po' di sole d'oltralpe, un po' di Parigi umoristicamente sentimentale e dolce.
Un piacere, un giorno remoto, quale rimpiangeva Marcel Proust: «Al giardino delle Tuileries, questa mattina, il sole si è addormentato su tutti i gradini di pietra uno dopo l’altro, come un adolescente biondo il cui sonno leggero sia stato interrotto dal passaggio di un’ombra». Era forse biondo le petit Nicolas?
(La Stampa.it)












venerdì 13 luglio 2012

Shame, l'autopsia di un'ossessione



non credo sia facile filmare l'angoscia.
certo filmarla mentre qualcuno nel film dice sono angosciato sto male il mondo è brutto va tutto a rotoli, si può anche fare con facilità. ma viene male, a volte molto male, spesso veramente molto male.
la forza della narrazione cinematografia sta nel raccontare solo attraverso le immagini. nel film si vivono gli atti e le persone non come sta scritto su un libro, ma come sta scritto nelle immagini. come vivendole.
ecco, in "shame" l'angoscia c'è, è forte potente fisica sessuale meccanica.
mi è piaciuto moltissimo questo film.

Brandon è un figo da paura ma è bruttissimo.
quando scopa è veramente un mostro.
in una delle scene finali del film, a letto con due donne dopo aver già fatto sesso nel pomeriggio a ridosso di una finestra di un grattacielo con una puttana, dopo aver masturbato in un bar una fanciulla incredula, dopo aver preso botte dal suo fidanzato, dopo essersi infilato in un locale gay dove uomini si accoppiano in modo bestiale ed essersi fatto fare un pompino da uno sconosciuto in un ambiente sordido umido di oscenità, in quella scena Brandon non è semplicemente brutto, non è semplicemente la maschera di uno che soffre e che non gode, non è solamente il ritratto dell'angoscia, Brandon sembra scarnificare la sua faccia fino a sembrare uno scheletro, un teschio. mentre scopa Brandon tocca la morte.
e fa paura.

Brandon è un figo da paura ma non sa parlare.
Brandon è uno da voltarsi per strada ma una relazione non sa nemmeno cosa sia.
se Brandon fa un incontro non può che farlo morire con il sesso. il sesso è il marchio di chiusura di qualsiasi comunicazione. è il sigillo della morte.

infatti l'unico rapporto che non può sigillare con l'eiaculazione, quello con la sorella, lo mette in crisi, inequivocabilmente a nudo con se stesso, lo manda letteralmente fuori di testa. è evidente, anche se meravigliosamente non detto, che i due fratelli hanno un legame forte a difesa, a scudo di un'infanzia infelice e violenta. c'è una storia psichica pesante di dolore che li ha fatti sbandare entrambe.
la soluzione nevrotica di Brandon , il suo sintomo è inscritto nel corpo. nella ripetizione ossessiva dell'atto sessuale, che ovviamente non ha più niente a che vedere con il piacere, ma solo quello di scaricare momentaneamente l'angoscia per poi vederla rinascere un attimo dopo. una coazione a ripetere che non ha via di uscita. la presenza della sorella lo ribalta nella sua dimensione fantasmatica, nel bagno di dolore al quale ha faticosamente trovato una soluzione, in quel corpo robotizzato che risponde all'impulso-angoscia. ma, lo sappiamo, a volte i sintomi non bastano più ad arginare e l'angoscia tracima.
Brandon è un figo da paura ma è solo.
ha solo sua sorella, ha solo quel brandello di affetto ad ancorarlo alla realtà, ha solo quell'opportunità per disancorarsi dal dolore. la sua disperazione è pervasiva. chi solo allunga la mano per accarezzarlo è fuori, fuori per sempre, è un alieno, un corpo estraneo. in questo mondo dove niente funziona, solo il corpo risponde al comando, basta che non ci sia una parvenza di vicinanza. allora nulla si erige. solo il corpo macchina risponde al comando dell'eccitazione-morte. il sesso non è veicolo di piacere di comunicazione con l'altro. anzi separa, crea distanza, sancisce la fine di ogni cosa. annulla. mortifica.
quel corpo che non ha trovato simboli a valorizzarlo, che non è andato oltre il peso specifico della carne, che si svende e si mercifica, che non è unificato ma spezzato, è fatto di brandelli di un'autopsia di un'ossessione, per dirla con titolo di un libro di Walter Siti.

giovedì 12 luglio 2012

semplicemente osservo il mondo



Ancora oggi, non ho perso il piacere di osservare le cose e ammirarle e scattare fotografie o dipingere. A volte, mi sveglio nel mezzo della notte e prendo un libro di Matisse, o di Cézanne o Sotatsu. Un dettaglio che non avevo notato prima, di colpo attrae la mia attenzione. Dipingere è magnifico. Quando mi stendo sul letto penso alla pittura. Amo fotografare ma la pittura è un’altra cosa. Ho sempre fotografato in modo molto libero, senza avere in testa nessuna particolare immagine, fotografia o dipinto, che sia. Chi vede i miei dipinti pensa che esiste una relazione tra l’uso del colore nei miei quadri e nelle fotografie. … Cerco di rispettare determinate nozioni di bellezza anche se per qualcuno si tratta di concetti vecchio stile. Certi fotografi pensano che fotografando la miseria umana, puntano i riflettori su problemi seri. Io non penso che la miseria sia più profonda della felicità.
Saul Leiter











è bella la mostra su Saul Leiter "luci di New York" allo Spazio Forma di Milano.
è associata all'esposizione degli "zingari" di Koudelka, ma direi che non c'è storia..
più che luci direi riflessi. Leiter gioca sui riflessi, sui piani sovrapposti, sui colori.
finalmente, oltre alle immancabili  foto in bianco e nero, anche foto a colori. BELLE.
in cui col colore si dipinge, si racconta della bella gente di una città viva.
ma di Leiter, fotografo e pittore americano tuttora vivente, battezzato alla fotografia dopo folgorazione sulla via di damasco -ovvero dopo l'incontro con l'arte fotografica di Cartier Bresson- mi è piaciuta una cosa su tutte.
la semplicità.
nessuna e dico nessuna pretesa di comunicare un'ideologia, nessun gioco intellettuale, nessuna funzione socio-politico-economica-strategica-eviadicendo, solo voglia di guardare.

Credo che cose misteriose avvengano anche negli spazi familiari; non abbiamo sempre bisogno di correre dalla'ltra parte del mondo.

Grazie alla fotografia ho imparato il gusto del guardare. Semplicemente osservo il mondo, è una fonte infinita di piacere.

è meraviglioso direi, c'è qualcosa che ancora appaga semplicemente perché esiste, senza averlo comprato, consumato, sbranato, bulimizzato, fagocitato e poi rigettato, vomitato. provo invidia per questa semplicità.




giovedì 5 luglio 2012

vergogna

se penso alla vergogna mi si folgora nella mente l'immagine di berlusconi che ripete tuonando vergogna- ai magistrati ai comunisti a tutti oltre il suo sé- mentre si trastulla con il suo membro eretto viagra-sostenuto con minorenni borderline o maggiorenni appena appena alfabeto-sostenibili. è un gioco di prestigio quello di invocare la vergogna degli altri quando ne siamo completamente privi. ma è anche una faccenda antichissima, quella di rivendicare un sopruso quando ne siamo i primi intimi e convintissimi portatori. il sembiante è sempre un inganno.

Shame by Lethaltoenail, deviantART 

oppure penso a certe situazioni, in tram, in palestra, in coda alla posta, in cui persone a me sconosciute-e soprattutto viceversa- parlano al cellulare con voce incautamente sostenuta di faccende personalissime che andrebbero, per decenza e semplice buona creanza autoconservativa, tenute sottovuoto e sussurrate umilmente e mestamente.
oppure blog inguardabili e inascoltabili dove giusto lo schermo fa da velo, ma neanche.. anche quello si fa veicolo osceno, ove l'intimità -che tesoro inaudito è la nostra intimità, che valore assoluto la sua segretezza e condivisione con chi amiamo- diventa svendita mercificata e ostentata, ovviamente falsificata dalla parola camuffata da verità, ovviamente peggiore versione di noi stessi con i genitali e i visceri eposti come fossero realmente veicolo di eccitazione e non carne putrefatta e maleodorante.   
inutile rimarcare che i confini della moralità hanno debordato oltre l'inverosimile, e che la vergogna, sentimento sano e appropriato alla conservazione di noi stessi, è diventata merce rarissima e preziosissima. la perdita della vergogna, l'oscenità, è diventata catalizzatore, elemento unificatore di chi confonde la spudoratezza con la sincerità, l'esposizione con l'espressione, la carne con l'intimità. episodi in altri tempi vergognosissimi possono diventare "sprazzi di splendore mediatico". 
ma è dalla vergogna che si può ripartire, direi solo da lì. perchè il narcisismo iper esposto mediaticamente, e non, è l'apoteosi dell'annullamento dell'altro, l'imposizione frastornata e depersonalizzata del proprio esistere e l'esistere dell'altro solo in base ai propri bisogni.   
su "la lettura" di circa un mese fa ho avuto il piacere di leggere un bell'articolo di Maria Laura Rodotà che recensiva il libro di una sociologa, Gabriella Turnaturi "Vergogna", edito da Feltrinelli, sottotitolo "Metamorfosi di un’emozione". Gabriella Turnaturi ripropone il «buon uso» di un sentimento quasi scomparso di fronte al dilagare del narcisismo generalizzato.

È casomai anomalo il comune sentire italiano. Quel «così fan tutti» (abusi edilizi, evasione fiscale, corruzione diffusa, familismo amorale) che «sottrae qualsiasi azione alla possibile riprovazione e mette in mora la vergogna». O meglio, la trasforma in «vergogna rimbalzata»: che «s’invoca su quelli che non assumono il “così fan tutti” come regola, che intralciano gli affari e le autorealizzazioni». E così «la vergogna ricade su quelli che oggi con disprezzo sono chiamati “i moralisti” e “gli scocciatori”». Di recente, gli scocciatori (più che i moralisti) sono in grande spolvero. Ma il loro agire non è ispirato a un’idea di vergogna vecchio stile. Perché «le attuali metamorfosi della vergogna si sviluppano in un contesto di narcisismo di massa, in cui l’altro esiste solo come e quando voglio io».

Fanno così i Beppe Grillo e i ragazzi di Maria De Filippi. E lo facciamo noi quando parliamo al cellulare di cose personalissime in treno o al bar. Non ci vergogniamo più per comportamenti che infrangono regole sociali ormai debolissime. Sostiene Turnaturi: «La vergogna è un’emozione che prevede il comune, l’essere con. Ma che cosa ne è della vergogna nell’epoca dell’individualismo atomizzato che s’impone sulla comunità?». Continua a esistere, con altre cause: magari diventa «la vergogna di poter diventare un consumatore debole», causa perdita del lavoro e/o della capacità di acquisto. Turnaturi segnala «il nesso contemporaneo fra vergogna e depressione… Ogni fase di stallo o di difficoltà diviene sinonimo di patologia e inadeguatezza. Il non comportarsi conformemente al modello vincente produce vergogna e depressione, perché ci si ritiene responsabili di questa inadeguatezza».

Forse per questo, «la vergogna da depressione o la depressione da vergogna» toccano meno la
overclass globale, scrive Turnaturi: i finanzieri responsabili di crac, le celebrità pasticcione, i politici imbroglioni. Oggi specializzati nel rito autoassolutorio delle scuse. Che suscitano empatia nel pubblico, e consentono dopo poco di ricominciare a fare cose vergognose. Tra gli scusatori di successo, l’autrice cita Bill Clinton (un fuoriclasse) e il golfista Tiger Woods. E gli scusatori italiani, anche qui anomali. I politici indagati che si scusano con «la mia famiglia» e non con i cittadini. Che proclamano «sono sereno», mostrando «scissione dell’Io e malafede costitutiva». Sono comportamenti che non possiamo ignorare, se pensiamo, come lo storico Carlo Ginzburg, che «il Paese a cui si appartiene non è quello che si ama ma quello di cui ci si vergogna».
D’altra parte: la metamorfosi della vergogna ci ha anche liberati, nei comportamenti personali e sociali. Ma è un sentimento socialmente costruito, da maneggiare con cura. Conclude Turnaturi: «Sarebbe preferibile non invocare troppo spesso la vergogna. Meglio sarebbe se ognuno si vergognasse un po’ di più». Per capire i propri limiti, per «rafforzare l’interdipendenza, i legami, le relazioni». Per darsi una regolata, par di capire.


non so gli altri, io mi vergogno molto, troppo spesso.

io appartengo forse alla sponda dei malati di vergogna.
la mia emotività è costante fonte di imbarazzo, oltre che di tachicardie che, come una miccia, fanno esplodere il cuore. il mio eccesso mi viene rinfacciato ad oltranza, non posso che crederci, e vergognarmene, cos'altro? l'educazione analitica ad oggi ha portato solo lievi aggiustamenti, ma questa vergogna mi viene da lontano, da una madre che si indisponeva agli eccessi irosi di un padre. sono figlia di entrambi, mi porto questo andamento continuo logorante, questa danza di sentimenti l'uno causa dell'altro, come un'impronta indelebile nel mio DNA.

martedì 3 luglio 2012

odore

esco dalla porta di casa. pianterreno.
contemporaneamente si apre l'ascensore ed escono il padre con i due gemellini biondi. una coppia di fratello e sorella folgoranti di bellezza e simpatia. e, soprattutto, della loro meravigliosa età. 
quella dell'infanzia che non ha modo di camuffarsi mai. di mentire mai. di scordarsi della portanza dell'istinto della percezione mai.
li saluto e passo oltre.
sento che la piccola si rivolge al suo papà e chiede:
"di chi è questo odore?"
l'odore, anche così si misura la violenta evidenza della realtà. l'odore della madre è la prima sensazione dell'altro da sè. 


domenica 1 luglio 2012

perchè i sensi vedano


Aurelio Amendola
fotografa le Tre Grazie del Canova, 2007
estratto per il Corriere della Sera, da "la lettura"

ogni copertina di questo inserto di cultura è frutto di ricerca e indagine, ovvero di un concorso per la pubblicazione, tutte le domeniche.
ce ne sono alcune, ma forse tutte, che meritano un post.
questi due volti muti e ciechi che parlano e guardano sono ipnotizzanti.