bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 30 settembre 2012

quando il vento incontra l'acqua


con il mio compleanno è arrivata una splendida tessera.
mi sono così ritrovata comodamente abbonata allo Spazio Forma di Milano con una formula che mi permette di entrare uscire partecipare comprare essere costantemente informata. sulle foto che girano lì.
amorevole pensiero.
all'inaugurazione non posso andare, no, la mia dimensione spazio-temporale familiar-lavorativa non me lo consente.
mai? per ora mai...un giorno chissà.
ci vado dopo, è una piccola mostra fotografica di un signor coreano Ham Cheol Hun che fotografa in questo modo.




è curioso, iperreale, ipermondo ipercolorato, particelle essenziali biologicamente vive, mondi trasfigurati, digitalmente modificati, "pennello intriso nel tempo e nel colore della luce".
mi piace, un pochino ma non troppo, ma il blu mi ha catturato lo sguardo. 
ci sono rimasta davanti molto a lungo...che blu quel blu sul rosso delle foglie mosse dal vento della luce.
sedotta dall'irreale.


giovedì 27 settembre 2012

precaria

mi spostano.
il primario mi ha detto, qui non servi più, vai là.
dal SPDC al CPS. 

Hospital by joanchris, Deviant art

e io vado, come un soldato, obbedisco.
sbaracco tutto, dopo un anno e mezzo qui a crearmi la mia casetta, quadri, disegni dei pazienti, libri carte e fermacarte, poesie attaccate alle pareti e le mie piante. così, un giorno dopo l'altro, come una zingara nomade e precaria, porto via i miei pezzi.
mi faccio tristezza da sola, forse agli altri faccio pure pena.
lascio due colleghi amabili e capaci, e due colleghe iene che non auguro a nessuno, nè uomini nè pazienti.
e poi si dice che le donne sono migliori degli uomini.
che banalità sconcertanti che si dicono e leggono. le persone sono diverse, che siano uomini che siano donne, non è che un genere sia migliore dell'altro, in toto.
adesso sono piena di oggetti provenienti da un posto, un luogo di senso, che in qualche modo era mio, oggetti che non so più dove mettere.
nella mia nuova destinazione non ho una scrivania, un posto che segni i miei confini e il mio stile, passerò da uno studio all'altro, senza identità.
squallido, non mi piace, mi fa pure paura.
sono ancora più lontana da Milano, sempre più fuori, la mia già scadente qualità di vita andrà incontro a un'ulteriore squalificazione. ma qualcosa si perderà per forza, per questioni logistiche e matematiche di un tempo quotidiano inestendibile, dovrò necessariamente lavorare di meno per stare più tempo in macchina. incredibile vero?
è vero, il primario me lo ha ricordato, sono io che un anno fa avevo chiesto, espressamente, di andare al CPS. ma lui non sa che le mie paure mi inducono a fare scelte protettive, o meglio a fare non scelte, più esattamente. 
è vero, ma ora dal reparto non vorrei andarmene, a parte certe situazioni climatiche ambientali a tratti insostenibili e nauseabonde causa isterie o aggressività delle sopracitate colleghe, non vorrei perchè qui ho imparato moltissimo, su me, in primis, sui pazienti, in secundis. e sulla psichiatria in generale.
ora farò, a contatto con un'utenza molto problematica, povera, appartenente a zone urbane scadute scadenti decadenti, zone dormitorio, il mio lavoro ambulatoriale di sempre, ma con implicazioni burocratiche limitanti, risorse esigue, tempi stretti, e senza la mia scrivania.
sono stata decorosa e composta nel salutare, e nessuno mi è sembrato commosso nel salutare me.
roba adulta, meno male, o forse no.
sarà che dormo poco da giorni, che ho due herpes labiali, che mi trascino pesante nel pantano dello stress, o sarà solo che come sempre il cambiamento mi fa paura, sarà ma sono ancora senza un posto, una stanza tutta per me, sono in uno studio con un nome che non è il mio. e senza un cassetto.

"una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé per poter scrivere".
Viginia Woolf

lunedì 24 settembre 2012

un insolito autunno


Un insolito autunno aveva levato una cupola eccelsa,
Alle nubi era stato ordinato di non offuscarla.
E stupiva la gente, ché s’approssimava il termine del settembre,
Ma dove erano finite le giornate umide, gelide?
Di smeraldo s’era fatta l’acqua dei canali torbidi,
E l’ortica aveva preso a odorare come rosa, solo più forte.
V’era un sole tale, quale un ribelle penetrato nella capitale,
E l’autunno primaverile tanto avidamente gli si stringeva,
Che pareva di lì a poco avrebbe preso a biancheggiare il trasparente bucaneve.
Era così quando t’accostasti – tranquillo – all’ingresso della mia casa.

Anna Achmatova.

quante poesie leggo, ma quante.
a volte così esaltata, folgorata.
com'è l'autunno dell'Achmatova che invece di sfiorire rinasce a primavera?
cos'è che porta nel cuore, quale speranza, o ricordo, di lui che si approssima alla sua porta in un settembre splendente di bianco e di profumo di rosa?
che lingua è quella della poesia? una lingua che si fa di parole ma che delle parole si disfa una riga dopo l'altra, lasciando un altro senso addosso.

Ritratto di Anna Achmatova. Nathan Altman

lunedì 17 settembre 2012

il mio domani

Se chiudo gli occhi a pensare
quale sarà il mio domani,
vedo una larga strada
che sale
dal cuore d'una città sconosciuta
verso gli alberi alti d'un antico giardino.
Sole, sole violento
e in fondo
le ombrelle nere dei pini
che macchiano l'azzurro.
S'agita nella strada
una folla d'ignoti passanti:
ma nessuno mi guarda,
nessuno mi chiede
di me,
del mio pianto,
di tutto il pianto
che fu versato
quando dovetti lasciare
il mio paese lontano.
...
Antonia Pozzi

con questa poesia si conclude un film che ho visto: Il mio domani, di Marina Spada, una regista milanese che conosco dai tempi di Poesia che mi guardi, un film su Antonia Pozzi che, come è chiaro, è una grande passione che condivido con questa brava, e per lo più sconosciuta, regista. anzi, a dire il vero, il primo suo film che ho visto, ormai nel 2007, è Come l'ombra, una triste storia sulla solitudine milanese di due giovanni donne.
il film terminava, anche in quel caso, con un frammento poetico: "come l'ombra si stacca dal corpo, come la carne si stacca dall'anima, così voglio essere dimenticata", Anna Akmatova. e ho detto tutto.
la Spada ha alcuni grandi talenti che me la rendono veramente congeniale. oltre alla poesia, con cui sottolinea, alimenta, nomina e conclude tutti i suoi film che ho avuto il piacere di vedere, anche la fotografia e Milano. i suoi film sono girati a Milano, guardata scandagliata fotografata in modo intenso e profondamente intimo, in un rapporto di grande confidenza e conoscenza.
per me è sempre emozionante ritrovare la mia città nei film.
i suoi film hanno una fotografia particolare. molto essenziale, scarna, definita. nulla di sfumato, di accennato, di edulcorato. è come se la verità delle cose non fosse mediata, ma arrivasse diretta senza difese.
Marina Spada l'ho sentita parlare un anno fa a Fotografica, la rassegna annuale della Canon a Milano. parlava di questo film, ne presentava appunto la ricerca fotografica, e lei mi è sembrata come i suoi film. diretta, schietta, senza mediazioni. lei e il suo cinema sono totalmente démodé, alla ricerca di una firma propria, di una regia d'autore.

apprezzo molto la sua narrazione cinematografica, per lo più in ricerca di figure femminili, e anche in questo caso mi è piaciuta la storia di Monica, tanto che pure la Gerini mi è sembrata all'altezza della situazione, meno appariscente privata del suo biondo mediatico ma molto più autenticamente bella. così sola, totalmente sola, incapace di relazione con l'altro, sempre paludata, oppressa da un padre ossessionato da dio e privata di una madre dolorosamente instabile e inaffidabile. cerca la sua strada nel suo lavoro, nei corsi di fotografia, negli autoscatti, nel rapporto con un nipote stordito dalla sua età infame, ma si ritrova persa nella Milano che si agghinda di grattacieli nuovi specchiati e altissimi in attesa dell'Expo. alla fine ritroverà, come la sua città, il senso di un mutamento, di un viraggio, di una ricostruzione in previsione di un futuro migliore, il suo domani. 


da questo film è nato anche un libro di fotografie curate da Gabriele Basilico.

la colonna sonora è curata da Paolo Fresu. musicista di talento, lo conosco da poco, ma già lo apprezzo molto.
suona, jazzata, e se domani...

E se domani
io non potessi
rivedere te,
mettiamo il caso
che ti sentissi stanco di me
quello che basta all'altra gente
non mi darà
nemmeno l'ombra
della perduta felicità.
E se domani
e sottolineo "se"
all'improvviso perdessi te
avrei perduto il mondo intero
non solo te.

 

c'è tutto in questo domani.

martedì 11 settembre 2012

Francesco mi presenta Francesca

Francesco ha aperto un blog, o meglio, un sito che comprende anche un blog.
nel sito ci sono le sue foto, che guardo ammirata pensando semplicemente che sono bellissime.
ho provato a cimentarmi ma non ho un gran talento, anzi, ma qualcuno invece, lui ad esempio, è dotato, e ha studiato, e merita di essere guardato.
(volevo mettere un foto scattata da lui...ma non si può!!)

nel suo blog ha pubblicato, tra gli altri, un post, che parla di Francesca.
Woodman.
come già era successo in altre occasioni, Francesco mi ha raccontato una storia molto interessante su una figura femminile di grande fascino, come altre portatrice di una vita molto drammatica, e di enorme talento artistico.
non conoscevo Francesca, ho visto le sue foto e sono rimasta folgorata dalla capacità di questa giovane donna morta suicida a 22 anni.

la storia è bella da leggere a casa di Francesco, io qui riporto solo alcune foto, che mi piacciono in modo viscerale e che quindi vorrei fare anche mie, così inquietanti, di una strana trasparenza bianca che a me fanno pensare a un travaglio interiore potentissimo, di quelli che scavano fino alla morte, un corpo vissuto come un fantasma e al contempo una gabbia che non può contenere nè soddisfare uno spirito incomprimibile. 



ne metto due ma sono da guardare.
tutte.
grazie Francesco, e a presto.

sabato 8 settembre 2012

a Praga c'è un ghetto

me lo ricordavo, il ghetto ebraico Josefov e la leggenda del Golem e del rabbino Löw, da quando ero venuta a Praga per la prima volta, più di 30 anni fa, con i miei genitori.
nella mia testa c'era una Praga molto diversa da quella che ho visto in queste vacanze agostane.
ma ho la certezza che la diversità non sia solo legata all'evidente cambiamento indotto dalle cadute del muro di Berlino fino alla più deleteria globalizzazione (è davvero necessario che tutto sia accessibile a tutti? siamo assolutamente certi di questo?) ma anche a scherzi della mia memoria. ho la certezza che quel che credevo di ricordare, quel che ricordo e ho creduto di ritrovare, sia un rimaneggiamento della mia memoria. un rimestio, un'amplificazione, un'illusione o un'invenzione che la portata emotiva di alcuni momenti epici della mia vita, come un viaggio bellissimo nell'est Europa con i miei genitori vivi e presenti, soprattutto mio padre che mi diceva e spiegava tutto di tutto, hanno apportato alle immagini che conservo nel cassetto del mio cervello.
la magia di Praga, certi angoli o luoghi, certezze di fontane o porte secolari, si sono rivestiti di un mio  personalissimo apporto affettivo. ho anche l'iumpressione che certi rimaneggiamenti siano anche piuttosto recenti, modificazioni forse indotte dallo straripamento mnemonico di questi ultimi anni di lavoro analitico o dalla nuova posizione assunta dai miei genitori ora che li perdono di molte cose e ne posso avvolorare molte alltre. penso che molto spesso quando ricordiamo, crediamo di ricordare. 
penso che tanti racconti, che io stessa ho fatto, o che ascolto da altri, siano trasfigurati da un supporto emotivo e che non abbiano più niente a che vedere con l'immagine che la retina ha fotografato, allora, in quel tempo, in quel momento.
ma alla fine tutto questo è secondario, forse è perfino stupido scriverlo. la memoria è fatta di tutto questo. immagine affettiva trasfigurata dall'inconscio.

il ghetto, che pensavo di trovare cupo, angolato, sovraffollato (di ebrei), misterioso, è un luogo del tutto diverso. ampio, arioso, elegante, frequentato (da turisti).
il cimitero, tutto sommato, si avvicina molto di più ai miei ricordi. di certo ero entrata dentro e avevo passeggiato tra le tombe ammassate. ora si circola lungo il perimetro, guidati, intruppati, obbligati. effetto globalizzazione. effetto mortifero. malattia terminale della magia. 
è un luogo mozzafiato, contiene migliaia di lapidi, in uno spazio relativamente piccolo, ammassate una sull'altra, pare che decine di corpi siano sottostanti a ogni singola lapide, un effetto davvero impressionante, visivo ed emotivo. oggi si contano circa 12.000 lapidi, ma si ritiene che vi siano sepolti oltre 100.000 ebrei.
è stato per oltre 300 anni, l'unico luogo dove gli ebrei di Praga potevano seppellire i loro morti. le dimensioni attuali sono all'incirca quelle medievali e nel tempo si è sopperito alla mancanza di spazio sovrapponendo le tombe, perché il cimitero non poteva espandersi fuori dal perimetro esistente.
In alcuni punti si sono sovrapposti fino a 9 strati di diverse sepolture; le lapidi venivano staccate dal suolo, veniva ammonticchiata della terra per una nuova sepoltura, veniva rimessa la vecchia lapide e in più quella nuova a fianco.












adiacente al Vecchio Cimitero Ebraico, c'è la Sinagoga Pinkasova divenuta monumento agli ebrei moravi e boemi vittime dell'olocausto. Sui muri dell'edificio, tutti, sono infatti scritti gli oltre 80mila nomi degli Ebrei moravi e boemi sterminati dai nazisti. non si poteva fotografare, l'ho fatto di nascosto, così alla cieca, cliccando sulla macchina. 5 anni per scrivere nomi cognomi famiglie luoghi di nascita. 
perchè qui nessuno vuole dimenticare, che la memoria non faccia brutti scherzi.


martedì 4 settembre 2012

sono l'intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono

così diceva Pessoa.
c'è chi è a Lisbona, e manda foto, e vorrei esserci anch'io.
ecco l'intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono, tra dove sono e dove vorrei essere.

il caso vuole, quel caso che mi pone in quell'intervallo, che io stia leggendo "Cecità" di Josè Saramago, autore portoghese. "Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono".

una settimana fa ho visto "Singolarità di una ragazza bionda",  film del 2009 dell'ultracentenario  Manoel de Oliveira -per chi non sa, regista portoghese- una pellicola senza spazio e senza tempo come sembrerebbe anche il luogo -Lisbona- in cui è girato.

vorrei essere in uno spazio così, senza memoria nè desiderio.
libera.

Ho pena delle stelle 

 Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo...
Ho pena delle stelle.

Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?

Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l'essere triste lume o un sorriso...

Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?

Fernando Pessoa