bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 31 dicembre 2012

pulisci la casa, ritroverai te stesso

in questi giorni  di fine d'anno mi sembra di rincorrere l'impossibile.
ho ricevuto in dono libri strabilianti, Mortalità di Christopher Hitchens, L'età dell'Inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni di Eric Kandel (uno sballo di libro, credetemi, uno sballo, dopo la mia estate a Vienna, la passione per l'art nouveau, la fase eroica ed epica di quegli anni in Europa), e Cosa resta del padre? di Massimo Recalcati (per chi non lo conoscesse, psicoanalisita lacaniano dotato di una capacità narrativa ed esplicativa senza eguali, un incantatore), solo che si aggiungono a una lista già lunga di letture che ho in corso e che mi attendono...cosa c'è di peggio per me che avere una lista di "cose" -parola senza nome- che mi aspetta? niente, vivo nella torura.
in più, mi prende una foga vacanziera, milanese, di vedere tutto quel che Milano, e pure Torino, mi offrono e, come se non bastasse, faccio ordine.
ordine, pulizia.
anche questo è una specie di godimento, ossessivo?,certamente ma ma non solo. anche purificatore, pacificatore. zen.
è un soffermarsi sul qui ed ora, massima zen di ormai diffusissima fama, ma non certo altrettanto diffusa pratica.
io pulisco e riordino volentieri, ritrovo vecchie cose, ritrovo il gusto di riguardarle e selezionarle, qualsiasi cosa esse siano, di disfarmene o di riporle, magari per poi eliminarle alla prossima tornata di pulizia domestica. siamo fatti anche di questo, di fluttuazione dei valori e della memoria.
insomma,
pulizie come etica.
pulizie come rinascita,
parola che leggo ovunque, a fine d'anno.
mi viene in mente un articolo divertente che ho letto su La Lettura, ormai insostituibile compagna domenicale, che riporto, a fine d'anno.

Spiritualità

Pulisci la casa, ritroverai te stesso

La lezione del monaco Keisuke Matsumoto: l’Occidente ha delegato troppo alle colf «Lavare i piatti, riordinare i letti: è una preghiera e un atto per riappropriarci della vita»

Pulire una macchia d’olio sul pavimento richiede una meccanica complessa: rimuovere delicatamente il liquido con un panno asciutto; passare la giusta quantità di detersivo diluito nell’adeguata quantità d’acqua; risciacquare; asciugare con un panno apposito, per non lasciare aloni. È solo una macchia d’olio, ma prevede un piccolo patrimonio di conoscenze artigianali, concrete. Competenza nella «manutenzione delle cose», che vediamo dispersa nell’astratta frenesia metropolitana. E il bel volume pubblicato da Vallardi, Manuale di pulizie di un monaco buddhista, arriva per ricordarci che così disperdiamo parte di noi.
L’autore è Keisuke Matsumoto, poco più che trentenne, bonzo del tempio Komyoji di Tokyo. Un monaco «digitale» (ha la pagina Facebook e cura il blog del tempio), ma la sua raccomandazione è di stampo pragmatico-domestico: «Ritorniamo a fare le pulizie di casa. Riappropriamoci di quei saperi concreti che abbiamo perso o affidato ad altri. Perché la cura delle cose è cura di se stessi». Va detto che per i monaci zen le incombenze domestiche non sono incombenze: si svegliano all’alba e, dopo aver rinvigorito il corpo all’aria aperta, ciascuno comincia a svolgere i compiti quotidiani, che sono parte della propria pratica spirituale. Riordinare il letto, pulire la stanza, spolverare il comodino e lavare l’abito monacale (juban) è una forma di preghiera.
Non c’è insomma quella leggera venatura sacrificale che apparteneva alla Regola benedettina o la dedizione silenziosa dei monasteri delle carmelitane. Nelle pulizie zen c’è ricerca. «Ricerca di se stessi — dice Matsumoto —, perché i lavori domestici ti aiutano a concentrarti sul presente. Concetto chiave, questo, del buddhismo, dove l’attenzione non viene posta né sul passato né sul futuro, bensì su quel momento che si sta vivendo». È una questione di educazione, prima di tutto: «In Giappone — osserva il monaco — nelle scuole elementari e medie, sono gli scolari a occuparsi della pulizia dei locali, cosa che, all’estero, non accade. Nel nostro Paese, fare i servizi di casa è un concetto che non si riferisce semplicemente a togliere lo sporco dalle superfici, ma è in stretta relazione con lo spazzar via le nubi dalla nostra anima».
L’Occidente (e anche l’Oriente occidentalizzato) ha invece da tempo delegato queste mansioni a un esercito di lavoratori manuali: c’è la colf specializzata nelle pulizie di interni e del giardino, c’è il calzolaio tecnologico; di recente (specie tra gli immigrati cinesi) si è affermata anche la figura dell’aggiustatutto, che ripara quasi ogni cosa, dall’ombrello alle borse. Non si tratta solo di stranieri: secondo l’Inps, dal 2008 a oggi le collaboratrici domestiche e le badanti di nazionalità italiana sono aumentate del 20 per cento. E questa tendenza a demandare la cura dell’ambiente più intimo ad altri ha risvolti spirituali. Perché, come ci ha ricordato due anni fa l’americano Matthew Crawford ne Il lavoro manuale come medicina dell’anima, edito da Mondadori, non saper più nemmeno piantare un chiodo ci allontana da un muro familiare, da un quadro che ci piace e che vorremmo appendere. Dalla «bellezza pratica», insomma. E, al tempo stesso, è interessante notare come cresca l’ansia di «altre pulizie»: quelle del computer per esempio (con i numerosi tipi di antivirus sul mercato) o quelle dell’auto. Forse perché la nostra vera casa, oggi, è altrove?
«La mia attività di pulizia preferita — continua Matsumoto — consiste nello spazzare un giardino giapponese con una scopa di bambù. La monotonia di questo gesto mi aiuta a rivitalizzarmi». La scopa giusta, il momento giusto (nel libro sono indicati anche i giorni propizi del mese), lo spirito ben disposto. Ecco come si recupera davvero il lavoro manuale. Che è un atto d’amore. Sì, perché nell’artigianalità del pulire un lavello o nel saper scrostare un tegame c’è quella ritualità gestuale che nasce da intuizione, creatività, esperienza. Come sosteneva il filosofo scettico Pirrone di Elide che, racconta Diogene Laerzio, era solito prendersi cura personalmente della casa. Ma è anche una questione di auto-terapia: «Se paghi altre persone perché puliscano la casa al posto tuo — chiede il monaco — sei davvero sicuro che tu stia facendo qualcosa di più importante del pulire la casa?». Come nei vasi comunicanti, l’eccessiva concentrazione su astrazioni (il Lavoro, gli Amici, le Relazioni Sociali) portano a un deperimento della fisionomia domestica: i piatti sporchi che si accumulano e che infondono tristezza, togliendo la voglia di cucinare e spingendo a riempire il frigo di surgelati, i quali a loro volta andranno a male perché fatti per il pronto consumo. E così via. Di qui lo spreco, che secondo imonaci buddhisti è quasi un delitto. Sottolinea il bonzo: «Per i giapponesi l’espressione “Che spreco!” non si riferisce solo al fatto che sia un peccato buttar via qualcosa, ma veicola gratitudine per ciò che è stato utilizzato fino a quel momento. Chi non dà la giusta importanza alle cose non la dà neppure alle persone».
Nel divertente volume tradotto in italiano da Feltrinelli Lo sporco degli altri, Louise Rafkin racconta la sua vita come donna delle pulizie. È curioso osservare con distacco le vite di chi delega questi compiti: la pigrizia di chi rinuncia a invitare gli amici solo perché non sa come pulire il tinello; l’indolenza di chi si lamenta della muffa ma non capisce che è una questione pragmatica, di osservazione e soluzione: «Arieggiare, evitare l’umidità, ma soprattutto trovare il coraggio di liberarsi di libri, gingilli e cose superflue» suggerisce Matsumoto come rimedio anti-muffa. Pulizie come etica.
Così i servizi domestici (nel Sud Italia si dice così, «servizio», termine che richiama un senso di funzionalità finalizzato a qualcosa, mentre al Centro si usa il più gravoso «faccende» e al Nord si preferisce il calvinista «mestieri») sono una specie di aritmetica della vita, un ordine segreto da rintracciare, una forma di conoscenza di se stessi. Si racconta che un discepolo del Buddha abbia raggiunto il nirvana mentre stava spazzando. Insomma, il libro di Matsumoto ci riporta con i piedi per terra, anzi… con la scopa sul pavimento. Per uomini e donne, come dimostra la recente manifestazione del Movimento dei Casalinghi italiani (sarebbero circa 300 mila gli uomini che in casa si danno da fare) e come la stessa ministra del Lavoro Elsa Fornero ha rimarcato pochi mesi fa. La ricerca di sé non ha gonna o pantaloni. Al massimo indossa il samue, il costume tradizionale da lavoro dei monaci buddhisti.
Roberta Scorranese

mercoledì 26 dicembre 2012

un passero vero con un cuore vero nel petto

Il passero

Apritemi, per favore,
la finestra del salotto:
sono un povero passerotto
che ha freddo fino al cuore.

Vi ho visti che piantavate
in un angolo del tinello
quel meraviglioso alberello
dalle foglie incantate:

ogni ramo si curva al peso
di un frutto sconosciuto,
e su ogni ramo ho veduto
una stella col lume acceso.

Vi spiavo dal davanzale
piuma piuma intirizzito:
ma adesso l'avete finito,
l'albero di Natale.

Adesso tutto è a posto:
fatemi dunque entrare,
il mio nido potrei fare
sul ramo più nascosto.

Non vi darei tanta noia,
sono un passero per benino.
E per il vostro bambino
pensate domani che gioia

trovare tra i doni
dietro una mezzaluna di latta,
fra la neve d'ovatta
la ruggine di vetro,

trovare un passero vero
con un cuore vero nel petto
che guarda dal suo nidetto
con il vivo occhio nero,

una viva creatura
che vuol essere scaldata,
che ha bisogno d'essere amata,
che ha freddo, fame, paura...

I bambini sono tutti buoni,
e andremmo d'accordo, perché
chiedo così poco per me
di tutti i loro doni:

un cantuccio di torrone
per appuntirci il becco,
il biscotto più secco,
la crosta del panettone...

Che tenero frullo d'ale
in cambio vi posso dare!

Lasciatemi volare
sull'albero di Natale.

Gianni Rodari

su richiesta del piccolo grande uomo.

lunedì 24 dicembre 2012

amore e psiche, anima e desiderio

c'è una farfalla, in greco “psyche”, che indica l'immortalità dell'anima.
c'è in entrambe le opere d'arte.
nelle mani di Psiche nella statua di Canova o sopra la sua testa, nel quadro di Gérard.
ma, seppure è vero che Psiche , grazie al coraggio della sua indomita curiosità, arriverà a conquistarla, non è di immortalità che, secondo me, parla questo bellissimo mito. 


Milano, Palazzo Marino, quest'anno è di scena "Amore e Psiche".
versione di Antonio Canova, versione di François Gérard.
spinta dalla curiosità, anche io!!, di capire come e quando andare, attirata dalle iniziative della città intorno a questo evento artistico importante per la città, mi sono fatta sedurre da una proposta serale, martedì scorso, precisamente un incontro sul tema trattato nelle due opere.
presenta Lella Costa (mia sorella), intervengono Giulio Giorello e Natalia Aspesi.
santo cielo che perdita di tempo sono proprio un'allocca a volte.
mi aspetto un'oretta a tema, un'oretta sensata, una spinta per andare poi di corsa, matta di curiosità, a vedere i due capolavori in esposizione.
mi aspetto.
mi aspettavo.
qualcosa.
ma scema veramente. chiacchiere da bar, la Aspesi è una zabetta acida a mollo nei luoghi comuni, Giorello una persone tendenzialmente sensata ma non brillante e non sempre sintona sulla risposta, Lella fa il possibile con la sua leggera ironia per tenere insieme i pezzi, ma il risultato è francamente desolante.
gli interventi del pubblico, a un certo punto, sono scivolati nel peggiore vetero femminismo, ho sentito donne single inasprite dalla solitudine elargire i soliti commenti inascoltabili sulle donne coraggiose  e vere e gli uomini mammoni falsi e vigliacchi. machepalle!! anche quando si parla del mito di amore  e psiche mi devo sorbire 'ste fregnacce?
una gesticolava in modo volgare pontificando sul maschio succube della madre, un'altra, dopo il mio intervento, sulla bellezza dell'amore e sull' "esistonologiuro" di coppie felici che non hanno bisogno di fare strategie di bassa lega per trovare l'armonia.
ma amore e psiche ?
l'argomento era il mito o il sesso senza legami? l'incontro tra l'anima e il corpo o i maschi che mordono e fuggono? sul sesso al primo appuntamento e sull'eterna superiorità femminile o sul desiderio e la mancanza?
ci ho provato a intervenire, deficiente che sono, sono stata  presa per supponente e fuori tema. Lella mi dice: certo si sa , è vecchia storia quella che in amor vince chi fugge...ho detto questo?
il mito non parla di una storia di coppia, non parla dell'amore e del lieto fine, non parla del matrimonio e della figlia di loro, Voluttà. il mito termina con la scoperta del volto (e del sesso) di amore illuminato dalla lanterna di Psiche. il mito parla della parabola del desiderio.
desiderio e amore non sono la stessa cosa, santo il cielo.

la storia: nella vicenda narrata da Apuleio, Psiche, mortale dalla bellezza eguale a Venere, diventa sposa di Cupido senza tuttavia sapere chi sia il marito, che le si presenta solo nell'oscurità della notte. Scoperta su istigazione delle invidiose sorelle la sua identità, è costretta, prima di potere ricongiungersi al suo divino consorte, a effettuare una serie di prove, al termine delle quali otterrà l'immortalità.

ho avuto modo di avvicinarmi al mito di eros e Psiche studiando Lacan, che era rimasto colpito soprattutto guardando quest'opera, di Jacopo Zucchi della fine del 1500. quel che colpisce è che il disvelamento della figura di Amore comporta il dissolvimento della pienezza creata nella cecità, e la scoperta che, letteralmente, il sesso di Eros non c'è, in questo caso pienamente nascosto dai fiori della pianta. non entrerò nel merito secondo cui per Lacan il rapporto sessuale non esiste e nemmeno sulla minaccia della castrazione (Psiche in una mano porta la lanterna, nell'altra una scimitarra..affilata...), ma quel che mi preme dire di questo mito e di questa storia è che il desiderio (non l'amore) nasce si fonda e si sviluppa sulla mancanza. Psiche, nel buio, è solo anima, diventa soggetto, e prova pathos, nel momento in cui le si disvela una mancanza. Psiche desidera e si congiunge con Eros nella totale cecità, non lo vede, non sa chi sia nè che forme abbia, potrebbe anche essere un mostro, il suo disvelamento comporterà per Psiche l'inizio dei suoi guai, ovvero la serie infinite di prove da superare, ma, in sostanza, Psiche comincia ad esistere nel momento in cui il desidero che la colmava, si sottrae e le sfugge. ciò che Psiche sta per tranciare è già scomparso davanti a lei, è già diventato mancanza.

l'opera di Canova, di eleganza insuperabile, raffigura un gesto gentile e affettuoso tra i due amanti: la conquista dell'immortalità, ormai nelle mani di Psiche, segna quasi un abbraccio triste, tra una Psiche donna e un Eros accasciato su di lei, quasi la consapevolezza di una mancanza in cambio di una vita coniugale, eterna.
nel quadro di Gérard mi colpisce, oltre alla bellezza di lei e all'immaturità maschile-virile di lui,  lo sguardo di Psiche, nel vuoto, quesi cieco. lei non lo vede, e così lo desidera, ciecamente.

Quella che segue, la legge Lella (mia sorella), sull'amore felice.
la poesia della Szymborska come al solito merita, ma non è in tema.
Amore e Psiche non è la storia dell'amore felice, ma quella del rapporto tra anima e desiderio.

Un amore felice. E' normale?
è serio? è utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri
che non vedono il mondo?

Innalzati l'uno verso l'altro senza alcun merito,
i primi qualunque tra un milione, ma convinti
che doveva andare così - in premio di che? Di nulla;
la luce giunge da nessun luogo -
perchè proprio su questi e non su altri?
Ciò offende la giustizia? Sì.
Ciò infrange i princìpi accumulati con cura?
Butta giù la morale dal piedistallo? Sì, infrange e butta giù.

Guardate i due felici:
se almeno dissimulassero un po',
si fingessero depressi, confortando così gli amici!
Sentite come ridono - è un insulto.
In che lingua parlano -
comprensibile all'apparenza.

E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,
quei bizzarri doveri reciproci che si inventano -
sembra un complotto contro l'umanità!

E' difficile immaginare dove si finerebbe
se il loro esempio fosse imitabile.
Su cosa potrebbero contare religioni, poesie,
di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe,
chi vorrebbe restare più nel cerchio?

Un amore felice. Ma è necessario?
Il tatto e la ragione impongono di tacerne
come d'uno scandalo nelle alte sfere della Vita.
Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,
capita, in fondo, di rado.

Chi non conosce l'amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l'amore felice.

Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.

Wislawa Szymborska

domenica 23 dicembre 2012

la poesia è

si chiama Archibald Randolph Ammons.
è un poeta, americano, morto nel 2001.
lo conosco, ora, tramite la rivista Poesia.
mi colpisce questa poesia e qualcosa che sa dire sulla poesia.

Moto 
La parola non
è la cosa:
è
la costruzione di,
una targhetta per,
la cosa: la parola in
nessun modo
assomiglia
alla cosa, eccetto
come il suono
assomiglia,
come in whirr,
al suono:
la relazione
tra ciò che questo
come parole
è
a ciò che è
è tenue:
concordiamo su
questo come rete da
gettare su ciò che
è: il dito
con cui indicare: il
metodo con cui distinguere,
definire, delimitare:
le poesie sono dita, metodi,
reti, non quello che è o
era:
ma la musica
nelle poesie
è diversa,
non indica nulla,
non intrappola alcuna
realtà, non scommette nulla, ma
attraverso il moto del
suo moto
assomiglia a ciò che, muovendosi, è-
il vento
sottofoglia bianco contro
l'albero.

la poesia è una forma in cui le cose vogliono venire a prendersi uno spazio nel reale. è un ritmo, una musica che non è la cosa, come i nomi non sono le cose, è una forma che chiede una convocazione. non per fasi capire, solo per esserci.
"la poesia è l'unica forma del linguaggio che io conosca che contraddice la citazione di Lao Tse: nulla che possa esser detto a parole vale la pena di essre detto, perchè una poesia diventa qualcosa che si possa dire a parole che vale la pena di esser detto."

giovedì 20 dicembre 2012

tu sei in ciò che faccio e sogno, come il vino sa delle sue uve

intanto mi diletto di qualche nuova poesia, poi si vedrà con amore e psiche, eros e desiderio, Antonio Canova e François Gérard.
The Valkyrie's Vigil di Edward Robert Hughes 

da "Sonetti dal portoghese", di Elizabeth Barrett Browning

Via da me. Eppure so bene
Che d'ora innanzi vivrò nella tua ombra. Mai più
Sola sul limitare della porta
Dell'intima mia vita, dominerò
Le possibilità dell'anima, né, come prima,
Potrò, serena, sollevare la mano al sole,
Senza sentire ciò che mi negai:
La tua mano sulla mia. Vaste terra pone
Il destino per dividerci, ma il tuo cuore resta nel mio
Che per due pulsa e batte. Tu sei
In ciò che faccio e sogno, come il vino
Sa delle sue uve. E quando imploro
Dio per me, Egli ode il tuo nome,
E nei miei occhi vede le lacrime di due.

Se devi amarmi, per null'altro sia
Che per amore. Non dire
"L'amo per quel sorriso, la figura, per la
Dizione gentile, per lo spirito arguto
In cui mi riconosco, che in verità un giorno
Mi trasmise un piacevole senso di armonia".
Giacché queste cose, o Adorato, possono mutare
per loro natura o per te, e l'amore sì fatto,
Potrebbe essere disfatto. E non amarmi
Per la tua dolce pietà che terge le mie gote,
Ché può scordare il pianto chi ebbe a lungo
Il tuo conforto, e perdere quindi il tuo amore!
Ma amami soltanto per amore, e cosi sempre
Potrai amarmi, nell'eternità dell'amore.

è deliziosa questa poetessa rinascimentale e la sua poesia rinascimentale, umile e ardita allo stesso tempo. siamo ai tempi della regina Vittoria, mica semplice esprimersi in versi in tema d'amore quando si coprivano le gambe delle tavole. ma sono convinta che tutto quel pudore nascondesse un eccesso di desiderio, un bisogno esteriore di negare la colpa della pulsione impavida. ed ecco la voce semplice della dedizione, amami per quel che sono e non quel che ora sembro e domani non sarò, sono ebbra di te -come il vino sa delle sue uve-, siamo due in uno.
nessuno potrebbe oggi mai scrivere così, è passato il tempo, è passato anche quell'amore?

"l'anima che per l'umo comune è il vertice della spiritualità, per l'uomo spirituale è quasi carne." Marina Cvetaeva

venerdì 14 dicembre 2012

body wolrds - "La salute è la vita nel silenzio degli organi"

Poco fa, in bagno, Dodo si lavava gli occhi per via dell’omino della sabbia. Violette gli ha detto che l’omino della sabbia passava tutte le sere e appena hanno cominciato a pizzicargli gli occhi lui è andato subito a lavarseli. Gli ho spiegato che non è l’omino della sabbia, ma il sonno a far pizzicare gli occhi.Che ciò che chiamiamo l’omino della sabbia è la voglia di dormire. Ha risposto: E infatti, è l’omino della sabbia! Dodo è ancora succube delle immagini. Io scrivo questo diario per liberarmene

corpo.
corpo.
corpo umano.
corpo, ancora corpo.
siamo solo i nostri pensieri e le nostre emozioni o siamo anche corpo, nel corso della nostra vita?
per la maggior parte del tempo viviamo a prescindere dal nostro corpo.
quanto tempo gli dedichiamo? (il corpo è maschile? o magari femminile?). ma, soprattutto, quanta attenzione poniamo sul nostro corpo? in linea di massima viviamo considerandolo un tutt'uno con la nostra mente, solo quando stiamo male allora, improvvisamente, il corpo si stacca da tutto il resto e si riprende lo spazio, la consistenza e la considerazione che gli spettano. solo il dolore e il malessere lo mettono in evidenza. in salute il corpo tace e non sente la nostra voce.
penso che la maggior parte delle persone abbia una scarsissima conoscenza del proprio corpo, che quasi lo guardi staccato e indipendente dal proprio sè, fino ad arrivare a distorsioni patologiche anche gravissime. ma anche restando nella normalità, ah ah dai si lo so...una parola che non esiste, difficilmente abbiamo occhi sensibili, pazienti e benevoli verso il nostro corpo. eppure, per una buona vita, una buona sessualità, una buona quotidianità e anche una "buona " malattia, quel corpo così solo accessorio e sconosciuto, è fondamentale. il corpo che si ammala può essere accudito amorevolmente e senza paura, senza terrore, senza angoscia, se gli abbiamo parlato tutta la vita. occuparsi improvvisamente di un estraneo che rompe schemi abitudini e placida ignoranza, un intruso che chiede urgentemente attenzione e urla smodatamente, è un peso per la maggior parte delle persone, intollerabile. deprimente.
mi muovo su due diversi binari, ultimamente.
la mostra Body Worlds a Milano, alla Fabbrica del Vapore.
Storia di un corpo di Pennac.
tutta materia interessante. sul corpo.

quel che faccio vedere qui sono alcune dei corpi che si possono vedere alla mostra.
sono corpi umani, veri.
corpi che hanno subito, dopo la morte, un particolare trattamento, la plastinazione.
si tratta di riproduzioni realizzate dallo scienziato tedesco Gunther von Hagens estraendo dai tessuti umani i fluidi corporei e i grassi solubili che ne comportano la decomposizione e conferendo solidità attraverso la tecnica della polimerizzazione. Questo processo permette di ottenere modelli anatomici che conservano intatte tutte le caratteristiche dell'essere umano. i corpi vengono da donazioni fatte in vita all'associazione di questo scienziato.
può darsi, proprio non lo escludo, che a qualcuno possa fare molta impressione, si tratta di corpi umani, veri e propri, solo privati dell'involucro esterno, della pelle. a volte sono indagati per i muscoli, a volte per l'apparato venoso, o nervoso, o scheletrico, o viscerale. a volte sono scomposti per strati fino a quello più interno. sono in movimento, sono vivi per certi aspetti, sono corpi senza vita che mimano la vita.
l'esposizione era frequentata per lo più da studenti di medicina, comprensibilmente.
ma a me, a parte il ripasso generale, ha dato l'idea di un risveglio necessario, quello secondo cui siamo, appunto, CORPO.
per gente come me che mentalizza, psicologizza, interpreta, simbolizza, ricordarsi che siamo corpo e cuore e vene e organi e malattie e vita e morte, è utile. anzi necessario. già ci ricordiamo, o ci accorgiamo, poco del nostro, nella maggior parte dei casi, figuriamoci di quello degli altri.

Il mio corpo è anche il corpo di Violette. L’odore di Violette è come la mia seconda pelle. Il mio corpo è anche il corpo di papà, il corpo di Dodo, il corpo di Manès… Il nostro corpo è anche il corpo degli altri.
Forse è proprio così, morire. Sarebbe molto piacevole se non avessimo tanta paura. Forse ci svegliamo ogni mattina solo per rimandare il momento delizioso in cui stiamo per morire. Quando papà è morto, si è addormentato un’ultima volta. 
è stato un bel viaggio. mi sono immaginata dentro, mi sono pensata carne, muscoli, attività elettrica, ho visto il mio cuore pulsare, il mio cervello accendersi, i miei polmoni respirare, il mio scheletro sostenermi.
è stato un buon esercizio. perchè questa dimenticanza che applichiamo tutti i giorni, questo vivere senza corpo ma logorandolo, questo buttare aria dentro senza sapere cosa sia il respiro, il primo e l'ultimo atto della nostra vita, rischia di alienarci. 
ed è per questo che Storia di un corpo di Daniel Pennac mi piace da morire, mi ricorda che attraverso il corpo vivo, mi emoziono, mi relaziono, piaccio, mi amano, mi odiano, e ho messo in vita i miei figli.

Dodo mi ha svegliato in piena notte. Piangeva. Gli ho chiesto il perché, non ha voluto dirmelo. Allora gli ho chiesto perché mi avesse svegliato. E così mi ha detto che i suoi amici lo prendevano in giro perché quando faceva pipì lui arrivava meno lontano di loro. Ho chiesto fino a dove. Mi ha detto non lontano. La mamma non ti ha insegnato? No. Gli ho chiesto se adesso gli scappava. Sì. Gli ho chiesto se arrotolava bene il calzino prima di fare pipì. Mi ha detto: come, il calzino? Siamo andati sul balcone e gli ho mostrato come si fa ad arrotolare il calzino. È una cosa che mi ha insegnato Violette quando ero piccolo, facendomi il bagno: Arrotolati un po’ il calzino, non sia mai che ti vengono i funghi! La punta è uscita fuori e lui ha pisciato lontanissimo, fin sul tettuccio della Hotchkiss dei Bergerac. Era parcheggiata sotto casa. Ha pisciato fino all’altro lato del marciapiede. Era così contento che faceva pipì ridendo. E questo mandava il getto ancora più lontano, a raffiche. Ho avuto paura che la mamma si svegliasse e gli ho messo la mano sulla bocca. Ha continuato a ridere nella mia mano. 

lunedì 10 dicembre 2012

mutazione antropologica

non posso scrivere -tutto- quel che penso, mi arresterebbero per apologia di reato.
mi limito e dedicare a quell'omuncolo di berlusconi e a quel minus di alfano (mai minuscolo è stato più appropriato) che cancella le primarie perchè il primo si ricandida (ah ah...e allora? sarà ma sento odore di dittatura e di nullificazione dei cervelli pdl) una straordinaria e profetica pagina di storia scritta da Pasolini nel 1974. uomo di genio e grande umanità. cosa direbbe, di più, oggi?
anni fa qualcuno gridò: resistere resistere resistere.
per me ora c'è solo una possibilità: vincere vincere vincere.
e poi, se mai sarà possibile, dimenticare queste tristissime e puzzolenti pagine di storia italiana, e vergognarci per chi di vergogna di sporcarsi le mani di merda e farla mangiare agli altri non ne ha, per quel manipolo di clown e di puttane che non potrebbero sussistere se non per mercificazione della loro insignificante esistenza essendo privi di qualsiasi qualificazione al ruolo che ricoprono, per questi manichini apparentemente dotati di vita ma in realtà mossi da un unico movente se non il potere dei soldi. non c'è episodio dei governi  e delle manovre di berlusconi, non uno, né tanto meno quest'ultimo, non una delle persone che abbia messo in carica da qualche parte, che non sia stato mosso e guidato da un onnipotente desiderio di dominio e mercificazione dell'altro. non c'è mossa né strategia che abbia a che vedere con l'interesse e la credibilità di questo paese (all'estero qualcuno sta già ridendo, qualcun altro si sta già tappando il naso, qualcun altro ancora coprendo gli occhi per non vedere) quanto piuttosto il conseguimento di una glorificazione personale con l'acquisto, ben pagato, del servilismo altrui, una schiera di schiavi privi di esistenza propria se non per riflesso degli euro elargiti dal neocandidato, se così si può dire. questo paese è stato comprato dal potere dei soldi, ma non solo, è anche stato svenduto dal voto degli italiani, abbagliati dal populismo pubblicitario dei cartelloni al neon sopra la cadrega del nobilissimo personaggio, italiani acefali. ignoranti. paganti e pagati.
e, posso assicurarlo, non ho scritto tutto quel che penso.

da Scritti Corsari, 1974:
"Che cos’è la cultura di una nazione? Correntemente si crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa sia la culturadell'intelligencija. Invece non è così. E non è neanche la cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l'insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile - o, per dir meglio, visibile - nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono stato distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi - quasi di colpo, in una specie di Avvento - distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere. Scrivo Potere con la P maiuscola solo perchè sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c'è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti demoscristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella Grande Industria, perchè essa non è più nemmeno costituita da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale), e, per lo più, come tutto non italiano (transnazionale). Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo "Sviluppo": produrre e consumare. L'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti "moderati", dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all'edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una mutazione della classe dominante è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma "totale" di fascismo. Ma questo Potere ha anche "omologato" culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l'imposizione dell'edonismo e della joie de vivre. […] il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamrente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo."

sabato 8 dicembre 2012

football titans

complice un bel ragazzo di famiglia mi ritrovo a frequentare campi di football americano.
ho visto tanti film che percorrevano le gesta eroiche dei giocatori americani, amati, osannati, popolarissimi, così travestiti da superuomini...come non amarli?
poi un giorno ho visto anche un telefilm, della serie Harry's Law con Kathy Bathes- che applica le dure regole della legge in un negozio che vende anche scarpe, mah...- in cui si risarciva una famiglia per la perdita del proprio figlio, giovane bello proiettato nel futuro, morto durante una partita di football a seguito delle ripetute botte sulla testa, di cui l'ultima fatale. trattasi della sindrome da secondo impatto, ovvero quando un atleta che subisce un trauma cranico, di solito lieve come una concussione, va incontro ad un secondo trauma cranico prima che i sintomi legati al primo siano completamente risolti. una tragedia: il cervello si gonfia e va in tilt, mortalità nel 50% dei casi, quasi tutti legati al football. olè.
ora, non è stato bello vedere sto telefilm in una fase di progressivo avvicinamento al suddetto sport.
diciamo che abbiamo cercato di dimenticarcelo.
nel frattempo si muore di freddo sui campi e si vedono questi giovani ragazzi impacchettati, gonfiati e protetti in quasi ogni lato e angolatura del proprio corpo, infagottati dalle gengive ai glutei, al muscolo quadricipite femorale e mi fermo qui, affannarsi dietro a questo ovale che sfreccia veloce (avete mai provato a prenderlo al volo dopo un lancio? mai fatto? provare per credere il male che fa!!) per portarlo alla meta. quel che diverte è il movimento del gruppo, come credo in quasi tutti gli sport di gruppo.
ma alcuni sono più gogliardici di altri.
nel calcio, frequentato per anni, e ancora adesso, nulla di esaltante.
nel football, tutto molto esaltante.
credo sia anche questo che piaccia, i cori durante gli allenamenti, gli urrà urrà urrà prima e dopo la partita, i caschi in alto dopo la vittoria, l'inginocchiarsi per rispetto ogni volta che un compagno si fa male e rimane a terra. quale adolescente non vorrebbe far parte di tutto questo per sentirsi fuori di casa e dentro un'altra e ben altra cosa? la propria cosa? quel gesto, quel momento, quell'urlo?
ed eccoli, vestiti come giganti, esagerati, quasi grotteschi- cardinals, panthers, vikings, bears, titans- con i volti, quando scoperti dal casco, segnati di nero sotto gli occhi da strisce oblique come gli indiani sioux, correrre e sgusciare oppure placcare e arrestare, uno sopra l'altro a peso morto, oppure intercettare e fare touchdown. vuoi fare il quarterback, o il running back o il corner back? fai quel che sai, intanto però ci sei, sei lì, e solo lì vuoi essere per esserci.
sei lì e senti il tuo corpo, quel corpo che cresce e non sai governare, ti muovi e rompi tutto, ti muovi e sporchi, un corpo quasi adulto che si eccita e chiede risposte, chiede di essere soddisfatto.
c'è anche da dire che dopo già un numero accettabile di partite io non ho ancora capito quasi niente della complicata meccanica del gioco, nonostante le ripetute pazienti spiegazioni, nonstante l'elenco già più volte reiterato delle regole e dei ruoli, dopo anche l'elenco a memoria di tutte le squadre di fooball americano, NFL, peraltro appunto dai nomi strabilianti...
Arizona Cardinals
New York Giants
Philadelphia Eagles
Pittsburgh Steelers
Minnesota Vikings
Atlanta Falcons
New Orleans Saints
Tennessee Titans
Seattle Seahawks
Tampa Bay Buccaneers
Jacksonville Jaguars
and so on..
però mi piace il quarterback che chiama lo schema, mi piace la palla ovale che vola, mi piace la corsa affannosa verso la meta -quale splendida metafora della vita- mi piace il placcaggio -quale realistica sospensione della vita-.

cose c'è, per te, più dell'america per sognare?

lunedì 3 dicembre 2012

torre cesar pelli

vorrei però specificare che una delle foto della Kung che ho scelto (vedi post prima o sotto di questo), tra le tante, ritrae il grattacielo più bello di Milano, la torre Cesar Pelli, e forse anche di più. il più figo d'Italia o del mondo. non lo so, non ho visto abbastanza nella mia vita, potrei sbagliarmi di grosso, ma non importa.
questa nuova zona, tra la stazione Garibaldi e Porta Nuova, è un vero spettacolo.
è mirabolante.
è finalmente modernissima e svettante.
è la mia Milano che sale.
non a caso nel film di Marina Spada, Il mio domani (http://nuovateoria.blogspot.it/2012/09/il-mio-domani.html), ovviamente ambientato a Milano come tutti suoi film, mirabilmente fotografato a Milano come tutti i suoi film, quella è la zona scelta.

sembra una carta srotolata.
o un foglio che si avvolge.
ha una punta bellissima, imponente e maestosa.
quella punta la vedo dal mio studio in ospedale, al Fatebenefratelli, situato molto vicino, anzi proprio nella stessa zona. ogni volta è un flash di meraviglia.
e poi ha le luci che si illuminano a intermittenza.
potrà sembrare stupido, ma se c'è una cosa che mi fa impazzire sono le luci in alto di Milano. le luci che segnalano, a chi passa dal cielo, l'ingombro di un grattacielo. o delle gru che vi lavorano.
è fantastico, mi fa pensare alla fantascienza, a una fantascienza che sto vivendo, al futuro prossimo in cui potrei esserci anch'io.
le lucine rosse nel cielo nero notturno di Milano sono uno sballo.