bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 30 gennaio 2015

blu

il blu di Yves Klein è un buco nello spazio.
lo guardi e qualcosa succede, dentro.
succede negli occhi, succede nella vista, succede.
si apre una domanda.
è una porta verso l'universo.
è l'apertura verso un altro mondo.
infinito.

strabiliante.

















aveva qualcosa di mistico, era devoto a santa Rita, era un visionario.
Santa Rita da Cascia, io ti chiedo di intercedere presso Dio Padre Onnipotente perché mi accordi sempre in nome del Figlio Gesù Cristo e in nome dello Spirito Santo e della Santa Vergine Maria, la grazia di animare le mie opere perché esse divengano sempre più belle e inoltre la grazia che io scopra continuamente e regolarmente sempre nuove cose nell’arte ogni volta più belle, anche se purtroppo non sono degno di essere un utensile per costruire e creare della Grande Bellezza. Che tutto ciò che viene da me sia Bello. Così sia. 
Dino Buzzati lo aveva colto, il "fenomeno", altri lo avevano deriso, e con lui lo aveva colto anche Lucio Fontana, altro esploratore dello spazio, altro genio.
"Blu Blu Blu", scriveva Buzzati in un articolo dal titolo futurista: «Yves Klein, campione di lotta giapponese e pittore di superavanguardia, presenta la mostra più paradossale che si sia mai vista a questo mondo». il 26 gennaio 1962 Klein vende una "zone de sensibilité picturale immatérielle" proprio a Dino Buzzati che lo aveva sostenuto al tempo della sua esposizione a Milano nel 1957.
c'è una foto che li ritrae insieme, in questo gesto di dono dell'arte, in questo rituale, in questa cerimonia sulle rive della Senna che ha qualcosa di surreale e di profondissimo insieme. un gioco che unisce due anime, la condivisione di un progetto della mente, un legame oltre la vita.
immaginava un'architettura dell'aria, immateriale, un vero e proprio tentativo di ricostruzione dell'universo, un mondo immaginario e libero, un'architettura senza tetto e senza piani, un'architettura filosofica: "muri di fuoco, muri d'acqua, sono con il tetto d'aria, i materiali per costruire una nuova architettura. Con questi tre elementi classici fuoco, aria e acqua, la città di domani sarà costruita, flessibile, spirituale e immateriale".

una figura destrutturante, un pensiero folgorante, un'immagine del mondo fuori, oltre, da un'altra parte. mi ha colpita immensamente ieri sera, alla mostra Klein Fontana. Milano Parigi 1957-1962 al museo del Novecento e devo scriverne adesso.

Yves Klein (1928-1962)

giovedì 29 gennaio 2015

boyhood

Boyhood è un film del 2014 scritto e diretto da Richard Linklater. 
La lavorazione del film è durata 12 anni, dal 2002 al 2013, per raccontare la crescita di Mason dai 6 ai 18 anni, (interpretato da Ellar Coltrane) e il rapporto con i genitori divorziati (interpretati da Ethan Hawke e Patricia Arquette). Il film ha partecipato in concorso alla 64ª edizione del Festival di Berlino, dove Linklater ha vinto l'Orso d'argento per il miglior regista. Ai Golden Globes 2015 ha fatto incetta di premi, vincendo nelle categorie ''Miglior film drammatico'', ''Miglior regista'' (a Richard Linklater), e quello alla ''Miglior attrice non protagonista'' a Patricia Arquette.

bene, questo è Wikipedia.
quel che dice Lella Costa è mia sorella è che si tratta di un'esperienza inedita.
l'ho visto mesi fa, lo ricordo molto bene.
l'effetto su di me è che si tratta di un evento di corpo.
questo film è un evento di corpo dal valore incommensurabile.
una crescita in tempo reale che annulla il valore della rappresentazione e assume il senso della trasformazione.
di corpo.
guardandolo non ho mai pensato si trattasse di un film perché non è un film.
è vita, che cambia, che si trasforma, che cresce e invecchia.
non mi interessa sapere della vita di Ellar Coltrane, il protagonista, io l'ho visto crescere, e con lui Ethan Hawke e Patricia Arquette. io la loro vita l'ho vista evolversi. ho visto i brufoli e le rughe, le trasformazioni del volto, il cambiamento di peso e la crescita dei capelli.
ho assistito all'adolescenza, alla crisi e alla separazione, allo sguardo e alla paura di Ellar.
ho assistito ai matrimoni falliti, agli errori, all'instabilità affettiva e all'amore distratto della madre. 
ho assistito alla maturazione affettiva, alla responsabilizzazione, alla crescita sociale del padre.
e ci credo.
credo sia questione di tempo. 
e di corpo.
per tutti.
questo film è un'esperienza. 

mercoledì 28 gennaio 2015

il profilo

su Io Donna, settimanale del  Corriere, mesi fa, credo a novembre, è stata indetta una simpatica competizione, l'invito a scrivere una storia, una trama, osservando i volti misteriosi delle quattro dame del Pollaiolo.
a parte l'attribuzione errata delle singole dame al museo di provenienza (!!, almeno su internet è sbagliata) l'iniziativa è divertente e mi diverto a riportare i testi composti dal giornale stesso. in occasione del Festival delle Donne era stata indetto anche un concorso fotografico, tra fotografi professionisti immortalavano donne famose e non, partecipanti al festoso festival, nella posizione di profilo. il profilo è una posizione inusuale per un ritratto, difficilmente una donna si presta di profilo, molto difficilmente, perchè nulla è più impietoso di un profilo. se c'è un difetto, si vede.

 (foto di Giovanni Gastel e Neige De Benedetti)

si dice anche profilo psicologico... una linea di demarcazione tra ciò che si vede, si percepisce, e il mistero oltre la linea. oltre la linea ci siamo noi.

«I pensieri degli uomini mi sfiorano come i pizzi sulle spalle nude»

«I pensieri degli uomini mi sfiorano come i pizzi sulle spalle nude» Solo chi è raffinata e bella come me conosce la calma sospesa che dà l’eleganza. Quando mi muovo tra la gente sembro un’apparizione, mentre i pensieri degli uomini e l’invidia delle donne mi sfiorano come i pizzi sulle spalle nude. Anche l’artista che mi ha dipinto con tanta cura non riuscirà mai a rendere tutta la mia bellezza. I gioielli sulla mia acconciatura e sulla scollatura impallidiscono di fronte al roseo incarnato delle guance. Mi rimproverano di pensare soltanto alla mia immagine, ma non è questo il compito supremo di chi ha avuto in dono tanta bellezza? Non devo essere rispettosa verso le linee sublimi dei miei tratti? Quando mi sono sposata non mi sono preoccupata dell’aspetto di mio marito. Volevo solo un uomo in grado di incorniciare la mia avvenenza. Subisco i suoi assalti con indifferenza, ma non sono scortese e gli sorrido, mentre penso a una nuova sfumatura del belletto. Ormai non spera più di strapparmi alla mia calma concentrazione sul mio aspetto. Non sono frigida, come insinuano alcuni. Che strana parola per chi è tutta un fuoco per se stessa!


«L’oro dei forzieri di mio padre mi aureola più dei miei capelli»

«L’oro dei forzieri di mio padre mi aureola più dei miei capelli» Dicono che sia bella, ma io mi sento brutta o perlomeno sgraziata. Insicura no, fin da piccola ho visto chiunque dal mendicante al signore più potente trattare con riguardo il mio genitore. So anche di non avere bisogno dell’avvenenza, l’oro dei forzieri di mio padre mi aureola più dei miei capelli. Mi ritengono superba, ma sono soltanto distaccata perché so che nessuno mi vuole per me stessa. Solo se i lanzinecchi depredassero mio padre potrei sapere qualcosa dell’immagine riflessa nel mio specchio. Potere avere tutto mi rende sobria, non mi vedrete mai ingioiellata come certe frivole fanciulle, anche le stoffe non le voglio screziate o damascate, ma ricamate il giusto per non farmi notare. Nei crocchi di fanciulle parlo di rado, non civetto, non roteo gli occhi e non sfioro come per caso il gomito dei cavalieri più ricercati. Mia madre mi guarda rassegnata. Ma perchè? Non devo cercarmi un marito, né obbedirgli una volta sposata. La mia dote compenserà i miei silenzi. Perché fingere quando è così chiaro come funziona il mondo?


«I miei capelli sono un serpente d’oro sempre pronto a colpire»

Sono ostinata, ma non voglio che nessuno se ne accorga. Rivolgo al mondo uno sguardo assente, come fossi assorta in un sogno lontano, ma intanto colgo ogni occasione che mi si presenta. La mia scuola è stata la tintura bionda. Gli uomini non sanno quanta pazienza ci vuole per tingere i capelli d’oro. Così la mia anima sotto la tintura sognante è nera e vorrebbe ogni cuore e ogni gioiello. Amo le stoffe sfarzose ricamate, al cui confronto il mio pallido viso sembra terreo. Vorrei che i pochi che mi hanno intuita pensassero che qualcosa mi rode: una malattia oscura, una speranza. A fermare il mio sguardo non bastano le armature cesellate o le insegne del potere. La mia passione è non avere passioni e usare quelle degli altri per raggiungere i miei fini. Chi mi corteggia pensa io sia ritrosa e timida. Le mie rivali sospettano che finga, ma non vanno più in là. Non sanno quanto il mio gioco sia più vasto di ogni loro aspirazione. Né che i miei capelli sono un serpente d’oro sempre pronto a colpire.


«Mi vogliono dare in matrimonio, ma io vorrei fuggire lontano»

Voi che sognate la prima notte di nozze con un principe gentile, non sapete cosa sia giocare con un corpo lieve come il vostro, senza farsi schiacciare da spalle pesanti e mani dure. Ma anche chi tra di voi lo ha provato non lo prende sul serio. L’amica con cui scherzavate in giardino vestendola di baci, non vuole più la mia bocca sulla sua e protesta sorpresa: «Era soltanto un gioco, è il momento di crescere!». Ma se questo significa crescere, non voglio scordare gli spasimi segreti, i corpi stretti come due serpenti, le mani che non vogliono staccarsi, gli sguardi accesi tra la gente. Mi vogliono dare in matrimonio, ma io vorrei fuggire lontano con una dolce amica, nessuna però vuole scappare con me. Non voglio nemmeno andare in convento, mi piacciono l’aria aperta, le belle stoffe e le feste. Allora meglio sposarmi a un uomo ricco, ma molto anziano che non abbia voglia di domare troppo spesso il mio fragile corpo. E poi scordarlo tra le braccia di un’altra che ancora non conosco.

http://neigedebenedetti.blogspot.it/

martedì 27 gennaio 2015

la più bella del reame

qual è?
la dama di Milano? 
siamo intorno al 1470 e Piero del Pollaiolo ci mostra l'eleganza femminile in una posa destinata a rimanere nel tempo.
Piero del Pollaiolo Ritratto di donna di profilo ©Milano, Museo Poldi Pezzoli.

Piero del Pollaiolo Ritratto di donna di profilo ©Berlino, Staatliche Museen, Preußischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie.

Piero del Pollaiolo Ritratto di donna di profilo ©New York, The Metropolitan Museum of Art, Bequest of Edward Harkness.

  Piero del Pollaiolo Ritratto di donna di profilo ©Firenze, Galleria degli Uffizi.

la più bella e delicata è la dama di Berlino, un volto splendido, un incarnato meraviglioso, una classe inarrivabile, un vestito da urlo. è vero però che la dama a noi più nota, quella del Poldi Pezzoli, è la meglio dipinta in quanto a particolari, dettagli e colori. la dama di Berlino ha qualcosa di incompiuto, come un disegno del volto non del tutto portato a termine, sbiancato e pallido.
la dama di Milano ha un'acconciatura capolavoro, con quei gioielli che ne sottolineano la linea, con quella veletta a coprire l'orecchio. la posizione è quasi di tre quarti intravedendosi la linea che solca il seno, dividendolo, e il gioiello che ne esalta il decoltè. 
le altre due, di New York e di Firenze perdono ampiamente in bellezza, l'ultima davvero poco avvenente. rimangono i sorprendenti dettagli degli abiti, dei gioielli e dei capeili ma i volti si fanno rossicci, congestionati e lo sfondo troppo acceso.
ad ogni modo, lo assicuro, viste insieme sono strepitose, un'espressione di maestria e senso estetico di grande levatura.
la mostra al Poldi Pezzoli, LE DAME DEI POLLAIOLO: UNA BOTTEGA FIORENTINA DEL RINASCIMENTO 7/11/2014 - 16/2/2015, è a sua volta un piccolo gioiello di perfezione. piccola, spiegata meravigliosamente bene, dettagliata e curata, un visita di grandissimo godimento. si impara a conoscere l'arte di questi due talentuosi fratelli, così vicini, così lontani. raccogliendo varie tipologie di opere - come dipinti, disegni, sculture anche sacre -, la mostra mette in luce la passione artistica dei fratelli Pollaiolo, così come la diversità di tecniche sperimentate nella loro bottega. visitando la mostra si può scoprire l’innovativa lettura critica proposta dai curatori relativamente alle diverse competenze e tendenze dei due artisti: mentre Piero viene presentato come l’assoluto maestro della tecnica pittorica, Antonio viene celebrato per il suo indiscutibile primato nella scultura e per l’ingegno delle composizioni. risulta infatti l’arte pittorica di Antonio, vigorosa e carica d’energia anche nel disegno, e quella di Piero, più meticolosa e materica, attenta ai dettagli, alle sfumature e alle trasparenze. Antonio scolpisce volti e corpi in esplosione, nudi, fortissimi, tesi muscolarmente. splendide alcune sue sculture presentate, sembra di trovarsele in mano tanto si espandono. Piero è colmo di grazia e di sguardi elevati, la sua leggerezza coglie l'assoluto della bellezza. una mostra davvero fortunata e fortunato chi la vede.
Antonio del Pollaiolo e Betto di Francesco Betti Croce d’argento del Tesoro di San Giovanni Battista ©Firenze, Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore.
Antonio del Pollaiolo Battaglia di dieci uomini nudi ©Chiari, Fondazione Morcelli Biblioteca Reposs.


Antonio del Pollaiolo Ercole ‘scoppia’ Anteo Ercole e l’Idra di Lerna ©Firenze, Galleria degli Uffizi.
   Piero del Pollaiolo Apollo e Dafne ©Londra, National Gallery.
 Antonio del Pollaiolo Ercole ‘scoppia’ Anteo ©Firenze, Museo Nazionale del Bargello.

lunedì 26 gennaio 2015

nello sguardo di due fotografi boemi

una mostra deliziosa, vista quasi per caso, scovata su Vivi Milano del Corriere della Sera, visitata per interesse alla fotografia e per contiguità della sede della mostra allo studio del mio analista, e anche per dilatazione del mio tempo.
vedi un po' la casualità delle occasioni nella vita.
è una mostra di fotografie allestita presso il centro Ceco di Milano. ed è già questa una gran curiosità.
si tratta di due fotografi boemi, uno dell'800 e l'altro contemporaneo che hanno fotografato l'Italia a distanza di quasi un secolo.
le località, le occasioni, gli incontri, le persone, i gruppi, i paesaggi, gli angoli, le città, si ripropongono nello sguardo dei due fotografi e qualcuno, di cultura ceca, pensa bene di accostarle. una medesima provenienza e un'identica meta, l'Italia e la sua gente, la sua bellezza, la sua allegria, la sua gioia di vivere.
nel primo artista, František Krátký (1851–1924), si ritrovano luoghi ormai persi, resoconti di antichi viaggi per il diletto di famiglie borghesi, immortalati su fotogrammi stereoscopici su vetro e valorizzati con ritocchi di colore.


nel secondo, Pavel Kopp (1940), fotografo non professionista dal 1967, si ritrovano gli stessi luoghi a distanza di un secolo, fissati in bianco e nero con grande indulgenza, tenerezza e umorismo. e anche bravura.
diceva, nel 1983: "l'Italia è più di un paese, è un'emozione".






ed eccoli insieme, a raccontare un po'della nostra storia, momenti italiani fissati nel tempo, un po' di commozione, lo devo dire.

K & K – due sguardi sull’Italia. Un secolo di fotografia nelle immagini di due boemi

 František Krátký, Mulini sull'Adige, 1897, Sotto: Pavel Kopp, Gargano, 1975.


 František Krátký, Firenze, Fontana sul Ponte Vecchio, 1897. A destra: Pavel Kopp, Firenze, sul Ponte Vecchio, 1975.
 František Krátký, Carrara, presso le cave di marmo, 1897. A destra: Pavel Kopp, Abruzzo, 1974

  František Krátký, Roma, ambulanti, 1897. A destra: Pavel Kopp, Roma, Piazza Navona, 1975


 František Krátký, Napoli, botteghe a Porta Capuana, 1897. A destra: Pavel Kopp, Napoli, Piazza Dante, 1975

Il Centro Ceco di Milano presenta la mostra “K & K – František Krátký e Pavel Kopp, due sguardi sull'Italia. Un secolo di fotografia nelle immagini di due boemi”, in programma da giovedì 22 gennaio, presso la Galleria del Centro Ceco. 
Dalla collezione del CRAF (il Centro di Ricerca e di Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo) nasce questo progetto unico che, ad un secolo di distanza, segue il cambiamento urbano di varie località italiane e, in questo modo, rappresenta anche un esempio di studio urbanistico e sociale tra la fine dell'Ottocento e gli ultimi decenni del Novecento. 
Ad una selezione di quaranta inquadrature italiane del celebre fotografo boemo František Krátký (1851–1924) sono state accostate altrettante inquadrature, riprese negli stessi luoghi, a circa un secolo di distanza, da Pavel Kopp (1940). A distanza di quasi un secolo, essi ci permettono un memorabile confronto umano ed artistico nell’interpretazione del territorio e della società del nostro Paese. Gli accostamenti di soggetti simili ci faranno riflettere sulle costanti visive – nel tempo – dei nostri gesti e dei nostri comportamenti. 
Kratký, affermato fotografo-pittore di Kolín (cittadina boema del regno austro-ungarico), ha realizzato e venduto per anni migliaia di fotogrammi stereoscopici su vetro, da osservare nei tipici visori binoculari che offrivano l’illusione prospettica. Erano resoconti suggestivi di viaggi in tutta Europa, destinati ai privati svaghi culturali di moltissime famiglie. Nel 1897 Kratký compie il suo reportage in Italia. Oltre a Roma, tocca Napoli, Firenze, Pisa, Genova, Torino, Milano, Verona, il Garda, Padova, Venezia, la Dalmazia. Tornato a Kolin, aggiunge a molti dei fotogrammi stereo in bianconero una delicata colorazione manuale – sempre in trasparenza – che ne accresce il valore, e che si è conservata fino ad oggi. 
Ad una selezione di quaranta inquadrature italiane di Kratký, ne sono state accostate altrettante, riprese in Italia tra gli anni 70 ed 80 del secolo scorso da Pavel Kopp (1940). Dopo gli studi di ingegneria a Praga, viaggia in Italia, patria di lontani membri familiari ed espone a Milano nel 1975 la sua prima serie di Momenti Italiani. Riconosciamo nelle sue inquadrature l’affetto che lo lega all’Italia, ed anche l’attenzione critica e l’ironia presente nella cultura mitteleuropea. Non è mai stato fotografo professionista. Le sue immagini sono presenti nell’archivio del CRAF e nel Museo Nazionale della Fotografia Ceca.



sabato 24 gennaio 2015

Otello

parla in siciliano, stretto, questo Otello di Luigi Lo Cascio.
parlano siciliano, stretto, anche Iago e e il soldato narratore (invenzione di questa sceneggiatura).
parla rigorosamente italiano, Desdemona.
e già qui c'è una presa di posizione che mi piace moltissimo.
una metafora che dice che il linguaggio delle donne è differente, profondamente differente.
la donna è l'alterità misteriosa e inavvicinabile che parla un'altra lingua.
e tutta la tragedia va in questa direzione, le differenze tra uomo e donna, la differenza della parola dell'uomo e della parola della donna.
diceva Calvino che i testi diventano dei classici quando sono inesauribili. è così per tutta l'opera del Bardo, a ogni rilettura una nuova chiave di interpretazione è possibile, inesauribile.
all'inizio è dura, caspita, 'sto siciliano è ostico. quando parla Lo Cascio, che interpreta  magistralmente il male, Iago, si capisce poco, emergono solo alcune parole, il discorso si perde. ma le parole, quelle che intendi, restano. sedimentano, lasciano il segno.
è una scelta geniale questo siciliano duro e materico, in bocca agli uomini, e questo italiano, fluido e gentile, in bocca alla donna.
uno è all'attacco spavaldo della fortezza, femminile, l'altro è in difesa della sua posizione, relazionale e affettiva. per gli esseri parlanti l’incontro con l’Altro sesso è sempre problematico e il malinteso strutturale dei sessi nasce proprio dal linguaggio, c’è una differenza costitutiva fondamentale, differenza spesso impossibile da sopportare.
si parte dalla tragedia già compiuta e si ripercorre la sua costruzione, la sua lenta inesorabile solidificazione.  il palco è vuoto, in sostanza, è scarnificato, pochi oggetti lo animano, alcune riprese in bianco e nero, psichedeliche e dure, granitiche e a tratti spaventose, lo sottolinenano, così, senza materia se non quella del pensiero, e della parola.




Desdemona muore quasi senza difendersi, Otello uccide amando.
lei difende non la sua vita, che è disposta a perdere, ma il suo amore, il suo ideale d'amore, il suo desiderio d'amore.
lui uccide, pazzo, completamente pazzo, impossibilitato a cogliere l'interezza dell'altra, di possederla completamente. non si può possedere il battito di ciglia di una donna, il suo mistero, che fa impazzire l'uomo. andrebbe rispettato, con benevolenza, con rispettosa distanza. la natura della donna, la sua disposizione all'amore, all'Altro, è quel che l'uomo, che la riceve, non sa accogliere, ma che vuole fare propria, in un delirio di possedimento totale, che passa dal corpo ma dal corpo non arriva mai. l’Uomo non riesce ad abdicare al proprio trono selvaggio.
tanto meno con la morte, non c'è modo più definitivo di perderla quell'alterità, quella differenza.
e riemergono alla memoria tutti i casi di cronaca in cui lei resiste all'idea dell'amore che avrebbe voluto, e non cerca riparo, non protegge se stessa, non fugge lontano. e lui distrugge quel che non potrà mai colonizzare, quel mai potrà riavere, la cosa primaria, l'amore assoluto, irripetibile, della madre.
la violenza, l’odio, il disprezzo si palesano ogni volta che la donna non si fa trovare là dove un uomo la posiziona, dove avrebbe voluto che fosse per divorarla. si assiste a un paradosso più la donna, e la sua parola, avanzano, e più l’uomo perde la sua identità e la perseguita “o mia o di nessun altro".
Otello e Desdemona.

me lo dai, il fazzoletto, per favore?
quello che io ti diedi
come pegno d'amore.
non voglio questo, no.
non è la stessa cosa.
il fazzoletto che ora ti domando
nella sua trama è intriso di magia.
la seta proviene dai vermi sacri
di una sibilla antica e posseduta
da gran furore mentre lo tesseva.
il rosso adoperato
per tingere il ricamo
è quel colore pallido spremuto
dal cuore imbalsamato
di femmine illibate
che morte catturò prima del tempo.
non voglio un fazzoletto senza storia.
voglio quello che mi lasciò mia madre.
la maga dell'Egitto
a lei lo aveva dato
per fare al loro amore un sortilegui.
potente era la naga fattucchiera:
sapeva indovinare ogni pensiero,
leggeva ogni destino nelle mani
ed era a conoscenza del segreto
per muovere le stelle a suo piacere.
mentre la maga dava il fazzoletto
 con voce dell'abisso insiene disse
proprio dentro le orecchie di mia madre:
"fino a quando conservi il fazzoletto
la tua bellezza resta sempre incanto
che tiene stretto l'uomo alla catena.
ma se poi tu lo perdi per sventura
o se te ne sbarazzi o lo regali,
la luce negli occhi di tuo marito
si spegne in un attimo e arriva il tempo
insieme di disprezzo e indifferenza,
e della caccia muove fantasie
per tutte le altre femmine del mondo".
...
ora che son vere le parole,
conserva con gran cura questo dono,
chè se lo perdi è gran maledizione
che intossica e avvelena amore e vita.
(dal copione dello spettacolo)

Otello di Luigi Lo Cascio liberamente tratto da William Shakespeare. Regia di Luigi Lo Cascio. Scenografia, costumi, animazioni Nicola Console e Alice Mangano. Musiche di Andrea Rocca. Luci di Pasquale Mari. Interpreti: Vincenzo Pirrotta, Luigi Lo Cascio, Valentina Cenni, Giovanni Calcagno. Produzione Teatro Stabile di Catania- ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione. Foto di scena di Antonio Parrinello.  In scena al Piccolo Teatro di Milano.

venerdì 23 gennaio 2015

il giardino delle vergini suicide

è un film del 1999 diretto da Sofia Coppola. 
è uno splendido film, l'ho visto in televisione, caso rarissimo di buona programmazione televisiva.
è u film delicatissimo ma intensissimo sull'adolescenza, le sue derive tragiche quando contestualizzata in una famiglia drammaticamente cieca, bigotta, incapace di amare, conservatrice, convenzionale, e, alla fine, assassina.
ebbene si, famiglia assassina impersonata da una padre che abdica al suo ruolo di educatore e regolatore della voracità materna, assente, ritirato, indegno, superficiale e da una madre divorata dalla sua visione cristallizzata e impenetrabile di un destino per le sue figlie, fissato nella sua mente, senza che delle figlie sappia vedere niente.
racconta bene il turbamento del cambiamento, la sofferenza della separazione, quando è resa possibile, la visione della morte anche suicidaria, così cara all'adolescenza. la consapevolezza della morte arriva con la consapevolezza della generatività, e la pulsione aggressiva e sessuale in adolescenza sgorga con una violenza mai vista né prima né dopo. se posso generare posso anche morire. e la sofferenza, a volte, nell'incomprensione, nell'indifferenza, nella rabbia, nella sfida, è così presente torturante soffocante da non trovare altra via di espressione se non nella morte. se non sono né visto, né udito, nè, soprattutto, riconosciuto, la morte è il mio unico destino, non quello stabilito nella mente possessiva e anaffettiva di mia madre che non mi vede per quel che sono ma per quello che lei vuole che io sia, è l'unica fine possibile al mio star male.
cinque bellissime sorelle bionde tra i 15 e i 19 anni si consegnano alla morte, prima una e poi le altre quattro, come unica espressione possibile di un dolore mai detto, tanto meno gridato, di una clausura fisica e psicologica che annienta l'individuo, la soggettività, l'espressione di desiderio e di crescita personale.
la narrazione è affidata a una voce parlante maschile, un uomo, allora coetaneo, che racconta la storia di queste cinque sorelle anni dopo la loro morte, che le ha vissute, le ha guardate, le ha osservate, le ha ammirate, le ha amate. le ha viste svanire nella loro inafferrabilità senza averle mai veramente capite.
questa narrazione è sorprendente per bellezza, delicatezza e intuitività. esprime bene la fascinazione del femminile sul maschile nell'età adolescenziale, e forse per tutta le vita, un turbamento profondissimo che evidenzia con sublime poesia l'attrazione verso l'alterità femminile e la sua assoluta incomprensione. il ragazzo, giovane maschio, vede la donna nella sua portanza relazionale, nell'importanza della sua potente domanda all'altro, ma sopratutto nella sua aura mistero inconoscibile, ne subisce un fascino conturbante, cerca di averla sessualmente ma non è sessualmente che l'avrà. è descritta mirabilmente la delusione del rapporto sessuale che dovrebbe svelare tutto dell'altra, e dell'altro, e non svela ancora niente, lo svelerà solo in rapporto all'amore. 
un giorno, forse, in un tempo a venire, per chi l'avrà, un tempo agognato ma, a volte, impossibile da raggiungere.
sofia coppola, chapeau.



venerdì 16 gennaio 2015

Cristo alla colonna

poichè sono a casa, senza contratto, come mi capita di media ogni sei mesi, ho del tempo.
per mia buona fortuna fino a martedì è stata manna dal cielo, ho avuto tempo per studiare, come una matta, e preparare le mie relazioni per la co-gestione del VV. sono stata invitata a parlare, lusingatissima, a giovani adolescenti di adolescenza e psichiatria. un massacro di 4 ore ma sono uscita felice, seppure senza voce senza gambe senza forze e ormai senza emozioni, le avevo già spese tutte. non sono portata per l'oratoria, meglio scrivere. mi emoziono troppo, ho paura di non farcela, mi sento impreparata, inadeguata, a rischio black-out. è stata un'agonia, a dirla tutta...
il tempo di oggi l'ho usato alla Pinacoteca di Brera.
c'è una mostra, sul Bramante.
in verità, con il biglietto della mostra, si accede a tutta la Pinacoteca.
in verità, la mostra è dentro la pinacoteca, per spostarsi da un pannello all'altro si passeggia tra Mantegna, Caravaggio, Piero della Francesca, Raffaello Sanzio, Bellini, Carrà, Modigliani, Boccioni...
ma di Bramante non potrò mai dimenticare quel che ho visto, per ultimo, dopo la presentazione della sua esperienza pittorica.
Cristo alla colonna.

non si può dimenticare 
per quegli occhi chiari trasparenti
per quelle lacrime chiare trasparenti
per quei capelli, riccioli, sfumati d'oro
per quella bocca semi chiusa
per le guance così scavate dall'angoscia
per quel volto, mai visto un cristo con un volto così, di sofferenza e di speranza che possa ancora non accadere
per quel volto, illuminato a metà, l'occhio in ombra più scavato dalla stanchezza
per quella interrogazione sul volto
per quel busto, perfetto
per quelle braccia, perfette
per il braccio sinistro, stretto dalla corda, e le pieghe della pelle sotto quella morsa
per la corda molle intorno al collo
per la fine che presagisce e la tortura che è già stata
per i segni rossi della pelle appena sottostante alla corda, ora lenta ma prima tesa
per quella luce,  
   che viene da fuori, da un paesaggio così sereno
   che viene dall'alto a destra e illumina il corpo e solo parte del volto
per quella pisside dorata, sul davanzale, oggetto litugico, che rimanda al sacrificio di Cristo.

per la sua bellezza, è indimenticabile.

giovedì 15 gennaio 2015

parisien d'Italie

di Lina Cavalieri ritratta da Giovanni Boldini, in bella mostra a Milano, alla GAM di Via Manzoni. 
belle donne, belle epoque, donne disinibite esuberanti, eleganti, misteriose, torbide. 
i tratti sulla tela a volte sono definitivi e violenti. pennellate via. 
segnano l'andamento del corpo. oppure la linea dello sguardo. 
le mani sono conturbanti, a volte nemmeno più umane, diventano lunghe e inarticolate come emanazioni di animali, a volte sembrano cigni. si, lunghi colli, ancora il cigno.
occhi acquosi, oppure sfrontati. 
capelli e cappelli, pose e attimi.

un sorriso radioso immerso in tratti di rosso che sembra sangue, non era solo tutta una gran moda di strascichi e cappellini.
un locale caotico e rosso con mani maschli come artigli sul corpo di una donna.
donne nude languide, esposte, tratteggiate con furia. 
a volte si evidenzia solo un pezzo del corpo, nemmeno intero, il resto, dietro e intorno, rimane indistinto. 
magari si evidenzia solo il busto, ma il volto sempre, donne che emergono dall'indecifrabile come tronchi d'albero. dettagli, pezzi di corpo, la sessuazione maschile prevede sempre la dissezione in pezzi della donna e Boldini non è da meno. maschio, gran pittore.


pensavo di vedere solo il bel mondo spensierato di Parigi, ho visto invece tanta inquietudine, qualcosa del tormento.
una mostra bellissima, indimenticabile.