bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 31 agosto 2015

Violette - Avrebbe voluto fossimo ossute, taglienti. Ci sfaldavamo in aghi di pietra. Il bacio rallentò nelle mie viscere, disparve, calda corrente marina

bel film, mi è piaciuto davvero molto.
figure femminili in primo piano, Violette Leduc e Simone De Beauvoir.
che dire...
due donne diverse, due mondi diversi, due scritture diversissime. 
Nella Francia occupata dai nazisti Violette Leduc traffica nel mercato nero e cerca di portare avanti un mènage difficile con un coniuge gay. Il suo incontro con Simone De Beauvoir le cambia la vita. La scrittrice la spinge a trasformare le proprie angosce esistenziali in parole scritte. E' l'inizio di un percorso che la porterà ad essere una delle scrittrici più coraggiose ed apprezzate della Francia. Violette Leduc non è famosissima al di qua delle Alpi ma in Francia, negli anni in cui i Sartre, i Genet, i Cocteau erano al centro dell'attenzione, costituì un elemento dirompente in ambito letterario. Non si era mai avuta una donna che sfidasse la censura con romanzi in cui la vita stessa dell'autrice costituisse il focus di una narrazione in cui si parlava apertamente di aborto, di sesso, di omosessualità femminile. Non è un caso che il libro di maggior successo di Violette Leduc sia stato l'esplicitamente autobiografico "La bastarda" in cui il conflitto con la figura materna, che ancora cercava di dominare la sua vita, si ripresenta dopo che nel romanzo d'esordio "L'Asphyde" era già stato ampiamente trattato. "Violette Leduc non fa niente per piacere: non piace e fa persino paura" scrisse Simone de Beauvoir nella prefazione del libro. Martin Provost (regista del film) si accosta con sensibilità a questa donna che non si sentiva voluta da nessuno così come all'amore dichiarato per la De Beauvoir (e corrisposto in forme diverse da quelle che lei avrebbe desiderato). I suoi continui tormenti interiori, la sua ricerca di una pacificazione inarrivabile, la sua interiorità di donna letteralmente affamata di una vita che lei stessa finisce con il complicare vengono tradotti da Devos in sguardi, gesti, reazioni che non vanno mai sopra le righe consentendoci di avvicinarci a una scrittrice che ha saputo lasciare un segno nel tempo in cui le è stato dato di vivere scrivendo di sé: "Com'è grandiosa e musicale la mia scorciatoia di erbe pazze. E' fuoco che la solitudine posa sulla mia bocca".
Violette - Un film di Martin Provost. Con Emmanuelle Devos, Sandrine Kiberlain.

la descrizione di questa donna, Violette, è toccante e magistrale.
e altrettanto lo è, anche se meno ravvicinata e approfondita, quella di Simone.
diciamo che qui, Simone, risalta nel contrasto con Violette, tanto algida e razionale la prima, composta e di successo, tanto sguaiata ed emotiva, disperata e sola, è la seconda.
ovviamente le due scritture non si toccano, un linguaggio così dirompente, intimo, sessuato e corposo quale quello di Violette non condivide nulla con le descrizioni accurate e illuminate della sua amica e rivale. aperte entrambe alla vita, capaci di dire e pensare quello che le donne non dicevano e non pensavano, separate dal buon senso comune che le voleva adese alla vita borghese (e che modo di intellettuali e figure letterarie uniche nella storia del mondo) e lanciate nel mondo della comunicazione femminile più interiorizzante, sono due stelle luminosissime, strepitose entrambe in questo film.
quanto dolore e violenza deturpante nella vita di Violette, così intensamente espressa nella sua scrittura. e quante mirabile acutissima intelligenza in quella di Simone De Beauvoir, ogni parola espressa è senza scampo, una parola assoluta. Sono entrambe ineluttabilmente potenti, in modo diverso, opposto, universale. quel che mi ha colpito sono le descrizioni del "dopo film", da parte del pubblico maschile, che ha visto affascinate e sensuale le De Beauvoir in contrapposizione a una Violette brutta e sgraziata. in verità così non è, è chiaro che Violette, seppure non bella, è sensuale e femminile, bionda con i capelli spesso sciolti, porta gonne corte e tacchi, all'occorrenza si trucca ed è morbida di forme mentre Simone è secca e vestita in modo rigoroso, quasi sempre di scuro, con scarpe basse da suora, capelli sempre raccolti e mai sorridente. ma nello sguardo maschile, io credo, una Violette è terrificante, troppo passionale e incontenibile, spesso sofferente e quasi paranoica, scomposta e in mostra, troppa roba per un uomo, troppo di tutto, decisamente troppo. un femmineo che crea turbamento, un turbamento intollerabile, una forma di bulimia emotiva che travolge tutto: infatti era sola, sempre sola, mortalmente sola. ed ecco che una Simone risulta angelica, affascinante nella sua rigorosa compostezza, addirittura più femminile e desiderabile. l'attualità conferma la storia.



solo Simone, nella censura durissima che rese, per molto tempo, difficile se non impossibile la vendita dei suoi libri, solo Simone sapeva accogliere il suo tormento senza indietreggiare e apprezzare la sua prosa le cui "piccole frasi affannose ci afferrano alla gola: d'improvviso un grande vento ci solleva nel cielo senza fine e l'allegria batte nelle nostre vene" (Simone De Beauvoir).

giovedì 27 agosto 2015

Spuntano tombe e campane, dilaga da lapidi e fronti troppo lisce pace e sgomento

ho una vera passione per i cimiteri.
dopo il Monumentale di Milano (http://nuovateoria.blogspot.it/2013/10/per-il-suo-cuore-passa-alto-e-immenso.html),
dopo il Cimitero Assistens (Assistens Kirkegard) Norrebrogade/Kapelvej, di Copenhagen (http://nuovateoria.blogspot.it/2014/11/cimitero-assistens-assistens-kirkegard.html),
ecco il solare cimitero di Santa Cristina, Val Gardena,





  e l'incredibile, inarrivabile cimitero di guerra di Brunico.






Durante il primo conflitto mondiale a Brunico erano ospitati diversi ospedali militari in cui morirono numerosi soldati feriti, malati e prigionieri di guerra. Poiché non era possibile seppellirli nel cimitero cittadino, il comune cedette al comando militare sul Monte Spalliera una grande superficie affinché vi realizzasse un apposito cimitero. Un ufficiale del genio che prestava servizio a Brunico, l'architetto ed ingegnere A. Bechtold di Bregenz, allestì il cimitero in modo tale che si inserisse armoniosamente nell'ambiente del bosco. Qui sono sepolti in tombe singole e fosse comuni 669 soldati dell'armata austroungarica, 103 prigionieri russi, 13 serbi e 7 rumeni. I 77 soldati italiani che vi erano stati sepolti furono trasferiti nel 1932 nell'ossario Pocòl, mentre i 45 soldati tedeschi furono traslati in un cimitero al Passo Pordoi. Qui sono sepolti anche 19 soldati tedeschi dell'ultimo conflitto mondiale che persero la vita sotto i bombardamenti, un ufficiale italiano e cinque cittadini brunicensi caduti nelle vicinanze negli ultimi giorni di guerra. Il Cimitero di Guerra è gestito da un comitato femminile che cura amorevolmente e senza distinzione ogni sepoltura.

luoghi, posti, definiti da parole, circoscritti da definizioni, circondati dalla storia.
questi sono strani, nei cimiteri non si svolge la vita, ma la si celebra, la si onora all'ombra della morte.
per il tempo di una visita, e poi più.


COLLE DI GIANO

Pigro l'asse già s'inclina al vuoto.
Il fiato mite dei bambini,
il sole a pochi passi ma agli ultimi confini,
 i fiori e gli astri raggelati ai muri.
E umido quasi messo a nudo
d'entro un sonno d'argilla
- d'entro larghe mattine di fogliame –
già con brusio di muffe e muschi e minimi
uccelli
laggiù s'intenebra il lavoro.
Spuntano tombe e campane, dilaga
da lapidi e fronti troppo lisce
pace e sgomento. Forse
solo l'affanno e il gridio dei bambini
e la trombetta che scavalca i monti,
forse solo l'amore.

Oh come, come vi parlerò?
Ma forzo il cuore, forzo gli occhi a accendersi,
ad accendere vita.

Andrea Zanzotto.

Bianca e Nero

la giovane Bianca, ha 16 anni, e si è indignata.
il suo giovane amico Nero ha chiesto un mojito, al bar, in montagna, e glielo hanno portato, senza battere ciglio.
anche Nero ha 16 anni. quasi 17.
quando lo ha chiesto lei, glielo hanno negato.
ma come?
è perchè sono femmina, lui si e io no.
Bianca e Nero sono, in ogni caso, che sia bianca che sia nero, troppo giovani per bere un Mojito.
la frenesia alcolico-ecstasy-dipendente, l'annientamento cerebrale che annulla il pensiero, il vuoto adolescenziale che richiede un risarcimento immediato del nulla che li aspetta, sono ormai cose note.
quel che colpisce, con dolore, è che la giovane Bianca sia già vittima della stupidità femminile imperante che vede la parità dei sessi passare dall'imbecillità dei consumi dannosi e nefasti, dalla nefandezza dell'adozione dell'aggressività maschile quale lascia passare per il paradiso dell'uguaglianza.
il tumore al polmone ha superato, nella donna, l'incidenza di quello della mammella. le donne fumano più degli uomini.
e bevono, si ubriacano, sempre di più.
le donne ancora non hanno capito che certe parità sono solo delle solenni fregature.
le donne, e la giovane Bianca ne è l'esempio, non hanno capito che la vera parità sta nella differenza.
le donne sono femminili, non maschili e solo la femminilità, la differenza, farà di loro delle gran fighe, in tutto, nella vita.
la vita, non la morte uguale per tutti.