bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 30 novembre 2015

fondazione Prada

nella stessa area in cui a luglio c'era quello spettacolo di mostra che si è intitolata Serial Classic, ora c'è l'esposizione di Gianni Piacentino.
Fondazione Prada.
a luglio c'è stata la sorpresa di questo luogo sorprendente e di quella mostra strepitosa.
a novembre c'è stato il piacere di ritornarci e la conferma dei miei sospetti.
la mostra di Piacentino è una pura formalità e credo che questo voglia essere. 
estetica, nessuna etica.
e io mi ci muovo male, come un elefante tra i cristalli.
è tutto perfetto e se dico tutto è TUTTO.
le sale sono bellissime, circondate da vetrate enormi, mosse con leggiadre sopraelevate e soavi scalinate. lo spazio è un invito alla metafisica architettonica.
le luci sono perfette, i colori degli oggetti in mostra sono un capolavoro di eleganza.
l'esposizione si muove come un serpente, fluido e silenzioso, spazi si aprono con fenditure che anticipano le sale successive, sempre rispettando un'inquadratura fotografica millimetrica.
tutto è geometrico, calcolato, matematico, perfetto, bellissimo, elegantissimo.
i ragazzi prada, perfetti automi pre programmati vestiti come oggetti su un comodino, invitano perfino a rispettare linee teoriche nello spostamento tra gli oggetti sul pavimento, di lì si, di là no. 
perché? chiedo. perché di lì rovina il senso geometrico dello spazio, di là lo rispetta. risposta.
la mostra, in verità, non sono gli aero-moto-spaziali oggetti di Piacentino, secondari, ma è l'esposizione stessa, un capolavoro di ossessivo senso dell'assoluto.
percorrendola mi viene il sospetto di essere manovrata, di essere in un copione già scritto, penso di essere in un momento truman show, perfino gli spettatori, i fruitori della mostra sono perfetti, sono creature di Prada, assolutamente conformi al dettame della moda, in stile, sembra una sfilata di modelli, io sono completamente stonata, non ho le scarpe adatte!!!
sono uscita frastornata, ancora oggi sono convinta, in termini paranoici, di essere entrata in un momento teatrale, un'esperienza unica, tutto, tutta la fondazione Prada è una straordinaria invenzione fashion.
da provare assolutamente per capire cos'è l'alienazione, se già non si sa.














 Fondazione Prada dedica una mostra antologica all’artista Gianni Piacentino (Torino, 1945), a cura di Germano Celant. Il percorso espositivo, ospitato nei due livelli del Podium, riunisce più di 90 lavori ed esplora la carriera dell’artista seguendo un ordine anticronologico, dalle opere più recenti realizzate nel 2015 fino ai lavori datati 1965. 
 La ricerca di Piacentino si avvia in un contesto culturale e artistico caratterizzato da un crescente distacco dal soggettivismo che aveva animato l’Action Painting e l’Informale e dallo sviluppo di un nuovo linguaggio visivo tra l’attenzione all’immaginario popolare e consumistico e l’apprezzamento per forme geometriche e primarie. Il suo lavoro non s’inscrive però in nessuna delle due tendenze allora dominanti – Pop art e Minimal art – ma opera, secondo la lettura inedita di questa mostra, una sintesi tra le due. 
 Alla ricerca di un punto d’incontro tra le due correnti, Piacentino trova una risposta nel mondo della velocità e dei mezzi di trasporto come l’automobile, la moto e l’aereo, prodotti della cultura popolare che, pur non appartenendo all’arte pura, sono la testimonianza di un’estetica industriale. In tale senso l’artista si avvicina alle fantasie aerodinamiche di molti artisti californiani: da Billy Al Bengston a Craig Kauffman, da John Mc Cracken a John Goode. Come spiega Germano Celant: “È in questo clima storico di oscillazione tra arte e design, tra artigianato e industria, tra utile e inutile, tra unicità e serie, che si colloca il contributo di Piacentino, le cui alterità e unicità risiedono proprio nella dialettica tra le due polarità. Sin dal 1966 le sue sculture approdano a un risultato trascendente l’oggetto funzionale, sebbene quest’ultimo rimanga riconoscibile come possibile entità industriale e dalle caratteristiche decorative, perché derivate da una cultura intrisa di scienza applicata, di esperienza artigianale, di precisione meccanica e di processi strumentali di alta ingegneria”. 
 Come afferma Gianni Piacentino, “al centro del mio lavoro c’è sempre la rilevanza del controllo tecnico e matematico. Non mi lascio sedurre dal rimosso e dalle pulsioni”. Una coerenza dimostrata dall’attrazione per la disciplina costruttiva che comporta sia eleganza e perfezione, sia la predilezione per un controllo assoluto delle proprietà fisiche e cromatiche dei materiali. 
 Durante il suo percorso artistico, Piacentino si è posto alla guida del processo creativo seguendo, come nel settore del design, tutte le fasi inscritte in uno schema di produzione industriale. Come sostiene Germano Celant, la sua avventura artistica ed estetica rappresenta “un’uscita assoluta dall’imperfezione, dall’istantaneità e dalla casualità del fare arte, per accedere a un universo di perfezione, calcolo e concentrazione, così da poter competere, sul piano del sublime e dell’assoluto, con un veicolo da corsa o da volo”.

venerdì 27 novembre 2015

è lì, dentro la sua foto. lei è la sua foto

è lì, dentro la sua foto. lei è la sua foto.

Vivian Maier mi piace in modo scomposto, esagerato.
ieri ho visto la sua prima mostra, allo Spazio Forma di Milano.
e c'era un bel libro di foto, le sue foto.
mi piace moltissimo e mi piace, soprattutto, che di Vivian non ci sia commento. non ci sia commento possibile.
le sue foto sono state scoperte casualmente, anni dopo la sua morte.
di lei ci sono solo le sue foto.
lei non commenta, lei non dice nulla, lei non si descrive, non si definisce, non si celebra, non si schernisce, non si esalta.
lei non dice nulla, per ovvi motivi.
c'è solo la sua opera, peraltro immensa, che si commenta da sola.
e graziealcielo non si può fare nessun blabla intorno a lei.
guardare, ammirare.
ho visto il film su di lei e mi ricordo aspetti contrastanti del suo carattere (http://nuovateoria.blogspot.it/2014/04/vivian-maier-100000-foto.html), ma, a pensarci, mi interessa poco.
è il suo enigma a renderla immensa, quegli autoscatti in cui lei si riverbera in mille riflessi, quasi sempre legati a uno specchio che rimanda la sua immagine.
e lei è questo, è un'immagine infinita, lei definisce se stessa atraverso la fotografia, noi conosciamo il suo sguardo attraverso tutte queste foto che sono i suoi occhi, mille volte al giorno.
migliaia di foto, il suo battere di ciglia.
noi conosciamo la sua immagine come esito di un riflesso o di un'ombra, sola la fotografia sembra parlare per lei, solo la fotografia sembra tenerla insieme, per sempre.
anche per noi.
















mercoledì 25 novembre 2015

Valeria

bisognerà vedere quanto ci vorrà per dimenticare   chi non dimenticherà saranno quei due genitori   quelli mai  e quel fratello  mioddio la maschera del dolore dell'angoscia della mortificazione della disperazione   ora è solo    una marea di gente in piazza san marco ma io lo so   sono lì per loro, per loro stessi   Valeria non c'è più  Valeria è morta    il suo cuore non batte, il suo sangue non scorre e si deposita e diventerà polvere, come le sue arterie e i suoi neuroni, la sua mente non esiste più i suoi pensieri si sono fermati la sua persona non è più tra noi, tra loro, veramente   la morte è la dissoluzione, prima eri lì, poi non ci sarai mai più  ma a Valeria non interessa più Valeria non c'è più e di tutta quella gente lì per lei non lo saprà mai    siamo, sono lì per se stessi perchè la morte è una questione della vita è una faccenda dei vivi è un problema per chi rimane    parlano amici  descrivono episodi   definiscono il carattere e parlano di sè ognuno, soprattutto un'amica d'infanzia, ha inconsapevolmente usato Valeria per parlare di sè,  è questo che facciamo  attraverso le omelie per i morti parliamo di noi del nostro dolore chi più di tutti lo sa, che Valeria non c'è più che Valeria non sa che a Valeria non importa più sono quei due genitori     impressionanti, mai visti, misurati ponderati civili accoglienti non una lacrima nemmeno una scheggia di impazienza nemmeno un lampo nello sguardo nemmeno un cedimento del corpo     loro lo sanno  è finita  le abbiamo dato la vita     è finita   Valeria non c'è più  loro lo sanno    se siamo qui lo facciamo per noi per consolarci per credere in un mondo possibile  per dire hanno fallito per mettere insieme cattolici ebrei e musulmani  per onorare la vita    per dirsi, quei due genitori, abbiamo fatto il nostro lavoro di buoni genitori le abbiamo dato la vita e lei se l'è presa, tutta quanta, è andata ha vissuto in modo laico e generoso le hanno dato tutto quello che un sacro genitore può dare insegnando la vita
per sentire, noi due genitori, madre e padre, davanti a tutta quella gente, che noi oggi ci siamo, pulsiamo, ANCORA anche se Valeria non c'è più

venerdì 20 novembre 2015

in nome

Cedric è un nome che ricorre due volte.
poi ce ne sono altri, femminili, come Elodie, come Elif, come Michelli che mi piacciono molto.
e mi fermo a guardare le foto, a lungo.
ho letto che Elif, bellissima, stava con Milko.
ho letto di una ragazza che ha sentito, schiacciata sul pavimento fingendosi morta in mezzo al sangue e ai cadaveri vicino a lei, due innamorati scambiarsi parole d'amore, forse prima di morire, non lo so.
ho immaginato fossero Elif e Milko.
deliro qua e là e mi risuonano in testa anche le parole di una mia paziente, adolescente, che mi ripete che non è giusto piangere per Parigi e non per Raqqa. al solito gli adolescenti hanno una sensibilità più ampia, allargata, rispetto alla nostra.
io mi fermo molto prima di lei.
io non so cosa fare, oscillo tra paura e ingordigia bulimica di notizie, come potessero sedarmi.
non condivido i raid aerei e aspetto, come Amos Oz, come Bernard-Henri Lévy, di sentire la voce del mondo arabo musulmano moderato alzarsi alta e sonora e prendere posizione.
nel frattempo l'unica cosa che so fare è leggere tutti i nomi, tutti i cognomi, tutte le professioni, tutti i paesi di origine, guardare tutte le foto delle persone morte a Parigi una settimana fa.
non so fare altro, non li conoscevo, ma penso almeno che dire il loro nome, nominarli, dare un mome, ripetere il nome, ricordare il nome, dia un senso alla loro vita.

http://www.francetvinfo.fr/faits-divers/terrorisme/attaques-du-13-novembre-a-paris/un-visage-et-un-nom-pour-les-victimes-des-attentats-de-paris_1178443.html

sabato 14 novembre 2015

nei giorni della Suburra nessuno piú è innocente

Nei giorni della Suburra nessuno piú è innocente.



che bel film, Suburra.
tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo,
come Gomorra di Garrone lo era dal libro di Saviano.
Gomorra, Suburra.
mi è piaciuto moltissimo.
il regista è Stefano Sollima, quello della serie televisiva Gomorra, quelo di ACAB, altro film molto intenso, duro, sociale, di denuncia.
tra le serie televisive, che assurgono ormai a nuovo godiemento televisivo per eccellenza e rispetto alle quali si dicono e scrivono, francamente, molte scemenze, Gomorra, di cui ho letto il libro e visto il film, è una delle poche che ho visto (insieme a True Detective) e mi è piaciuta moltissimo.
sono in attesa della seconda stagione.
vuoi vedere che mi piace il genere delinquenziale, il romanzo criminale?
anzi, diciamolo e basta, mi piace, mi intriga, mi coinvolge.
guardo, assisto, anche alla violenza se non è compiaciuta, e vorrei saperne di più.
guardando Suburra ho riconosciuto elementi di condivisione con la serie Gomorra, a un tratto ho pensato che stesse entrando in scena Don Pietro Savastano...invece era Claudio Amendola, il Samurai.
si contano i morti, e qui non c'è ironia come in Ordine di sparizione -film strepitoso, sempre sul genere a pensarci, ma di altro tono narrativo- e il conto deve tornare, sempre.
ho ritrovato la faccia incredibile di Alessandro Borghi, ovvero Vittorio, personaggio indimenticabile di Non essere cattivo, altro bel film, ma bello bello caspita, italiano.
è chiaro, sono un gangster, sguazzo nella melma della corruzione sanguinolenta.
in verità c'è poco da scherzare, la vita, così, è una tragedia, la terra di mezzo ci ha contaminato, siamo marci, la terra alta, il Palazzo, si confonde con quella bassa, La strada, è il risultato è un mondo melmoso di perversione e violenza. la politica si infanga, il godimento perverso a tutti i costi dilaga, le figure paterne di riferimento evaporano, la soddisfazione non possiede più i confini della legge, le sparatorie entrano nei supermarket, la droga obnubila, la Magliana ancora resiste, la mafia coatta buzzurra zingara sembra diversa da quella paludata delle Ville, ma non lo è. la droga ammazza,  in vena o condita dal sesso feroce dei corpi senz'anima,  il pitbull allevato nella ferocia ammazza a morsi, sbranando vivo il boss. ferocia è, di sopra o di sotto.
ho amato Favino, Germano, Amendola, Borghi, avercene film così, come Gomorra, come Romanzo Crimilale, come Non essere cattivo. come Suburra.

«Il Libanese era morto. Tanti altri erano morti, qualcuno era diventato infame, qualcuno si faceva la galera in silenzio, sognando di ricominciare, magari con un lavoretto senza pretese. Il Samurai era ancora là. L'antico nome di battaglia denunciava ormai soltanto sogni abbandonati. Ad affibbiarglielo era stato il Dandi, ma lui aveva cercato di esserne degno. E il potere, quello, era concreto, vivo, reale. Il Samurai era il numero uno». 
Carlo Bonini, Giancarlo De Cataldo, autori del libro Suburra, edito da 

venerdì 13 novembre 2015

vi è una pazienza della foresta, ostinata, instancabile, continua come la vita stessa

Vi è una pazienza della foresta, ostinata, instancabile, continua come la vita stessa, che tiene immobile per ore il ragno nella sua tela, il serpente nelle sue spire, la pantera nell'agguato; questa pazienza è propria della vita quando va a caccia del suo cibo vivente; ed era propria di Buck quando si aggrappò al fianco della mandria ritardandone la marcia, irritando i giovani, inquietando le madri coi loro piccoli e facendo diventare folle di rabbia impotente l'alce ferito. Continuò per una mezza giornata: Buck si moltiplicava, attaccava da tutti i lati avvolgendo il branco in un turbine di minacce, tagliando fuori la sua vittima non appena raggiungeva i compagni, logorando la pazienza degli esseri aggrediti, minore di quella degli esseri che aggrediscono. 

se veramente amate la natura e gli animali,
se veramente vi piacciono i cani
e
non
quelle creature meschine con cappottino e rossetto
non
quelle sottospecie viventi trasformate dall'uomo bastardo infame in surrogati di godimento materno cannibalico
leggete Jack London
e il Richiamo della foresta.
è un capolavoro.



foto da Wild Life Photographer of the Year 2015, mostra alla Fondazione Matalon di Milano.

La passione del sangue lo assalì più forte che mai: era un uccisore, un essere fatto per la preda, vivente di cose viventi; senza aiuti, solo, per virtù della sua forza e del suo coraggio, riusciva trionfalmente a vivere nell'ambiente ostile in cui solo i forti sopravvivevano. Per questo fu preso da un grande orgoglio, che si comunicava come per contagio al suo essere fisico. Si esprimeva in tutti i suoi movimenti, era evidente nel gioco di ogni muscolo, parlava con chiaro linguaggio nel modo con cui egli avanzava e rendeva ancor più splendida, se era possibile, la sua splendida pelliccia. Senza le brune macchie sul muso e sugli occhi e il ciuffo di peli bianchi che gli cadeva in mezzo al petto, avrebbe potuto essere confuso con un gigantesco lupo, più grande dei più grandi della razza. Da suo padre, un San Bernardo, aveva ereditato la mole e il peso, ma la forma a quella mole e a quel peso era stata data dalla madre, cagna da pastore. Il suo muso era il lungo muso del lupo, solo che era più largo di quello di qualsiasi lupo; e la sua grossa testa era una testa di lupo di dimensioni più grandi. 
Selvaggia astuzia di lupo era la sua astuzia; la sua intelligenza era intelligenza di cane da pastore e di San Bernardo; e tutto questo, unito a un'esperienza conquistata nella più severa delle scuole, aveva fatto di lui l'essere più formidabile fra quelli che si aggiravano nella foresta. Animale carnivoro, vivente di sola selvaggina, era nel pieno fiore, al culmine dell'esistenza, esuberante di vigore e di fierezza. Quando Thornton passava carezzandolo, la mano lungo la sua schiena, un crepitio seguiva le sue dita perché ogni pelo scaricava a quel contatto la sua elettricità condensata. Ogni parte di lui, cervello e corpo, nervi e fibre, era accordata sulla nota più alta, e fra tutte le parti vi era un perfetto equilibrio, un perfetto accordo. A visioni, suoni, avvenimenti che richiedevano azione, rispondeva con la rapidità di un lampo. Per quanto rapidamente un cane eschimese possa balzare per difendersi o attaccare, egli balzava ancor più rapido. Vedeva il movimento, udiva il suono e rispondeva in minor tempo di quanto ne richiedesse qualsiasi altro cane solo per vedere o udire. Percepiva decideva e rispondeva nello stesso istante. In realtà i tre atti del percepire, decidere e rispondere erano consecutivi, ma con intervalli così minimi da apparire simultanei. I suoi muscoli erano sovraccarichi di vitalità e scattavano agili come molle d'acciaio. La vita fluiva in lui in uno splendido flusso, elevandosi felice finché sembrava dover scoppiare in assoluta estasi e traboccare generosamente sul mondo. - Nessuno ha mai visto un cane come questo, - aveva detto un giorno John Thornton mentre con i suoi soci osservava Buck uscire dall'accampamento.

giovedì 12 novembre 2015

ogni lama di luce

quando vedo le foto di Antonia Pozzi, come anche domenica scorsa allo Spazio Oberdan, per qualche motivo penso a Segantini.



le fotografie  che ritraggono la natura, in particolare la montagna, mi richiamano sia quello sguardo, sia quella forma di appartenenza, totalizzante. un desiderio di adesione assoluto.
le fotografie di Antonia sono belle, sono semplici, dicono del suo rapporto diretto con la realtà, quel che avrebbe voluto e dato, se tutto fosse andato bene.
le poesie di Antonia sono toccanti, struggenti e tristi. 
il linguaggio di Antonia è puro, è vera poesia, è dirompente e autentico.
la leggo, ascolto il suo cuore, il suo nudo cuore, e avverto, senza violenza, come un vento, la sua sofferenza. mi raggiunge leggera eppure pesantissima, due pesi si differenziano. lei è sottile e magra, con il viso affilato e sorridente, sempre, in ogni foto che la ritrae, ma le sue parole sono così cariche di angoscia, trasudano la sua caduta nel vuoto senza mani che la sostengano, che mi sommergono con il loro volume, come se tutto il suo corpo chiedesse assistenza.
le sue parole sono appello, alla natura alle stelle, al mare, all'uomo, all'Altro: sostienimi. 
e invece cade, ancora sta cadendo, io la sento cadere, sta morendo, ancora, Antonia.

Via dei Cinquecento
Pesano fra noi
due troppe parole non dette

e la fame non appagata,
gli urli dei bimbi non placati,
il petto delle mamme tisiche
e l’odore –
odor di cenci, d’escrementi, di morti -
serpeggiante per tetri corridoi

sono una siepe che geme nel vento
fra me e te.

Ma fuori,
due grandi lumi fermi sotto stelle nebbiose
dicono larghi sbocchi
ed acqua
che va alla campagna;

e ogni lama di luce, ogni chiesa
nera sul cielo, ogni passo
di povere scarpe sfasciate

porta per strade d’aria
religiosamente
me a te.

27 febbraio 1938


Periferia
Sento l’antico spasimo -
è la terra
che sotto coperte di gelo
solleva le sue braccia nere -
e ho paura
dei tuoi passi fangosi, cara vita,
che mi cammini a fianco, mi conduci
vicino a vecchi dai lunghi mantelli,
a ragazzi
veloci in groppa a opache biciclette,
a donne,
che nello scialle si premono i seni -

E già sentiamo
a bordo di betulle spaesate
il fumo dei comignoli morire
roseo sui pantani.

Nel tramonto le fabbriche incendiate
ululano per il cupo avvio dei treni…

Ma pezzo muto di carne io ti seguo
e ho paura -
pezzo di carne che la primavera
percorre con ridenti dolori.

21 gennaio 1938


Dal 23 ottobre 2015 al 6 gennaio 2016 presso Spazio Oberdan,
Viale Vittorio Veneto, 2, Milano
Fondazione Cineteca Italiana in collaborazione con Città metropolitana di Milano, Regione Lombardia, Comune di Milano e Centro Internazionale Insubrico “C. Cattaneo” e “G. Preti”,
presenta
SOPRA IL NUDO CUORE. FOTOGRAFIE E FILM DI ANTONIA POZZI, 
una grande mostra a cura di Giovanna Calvenzi e Ludovica Pellegatta

serpente divino


i serpenti non mi piacciono.
ma questo si.

Divine Snake by Raviprakash
Wildlife photographer of the year 2014.
Fondazione Matalon, Milano.

martedì 10 novembre 2015

kimono arancione

mah, non si può più fare a meno di certe cose, la bellezza è una droga. una perenne mancanza.


De Nittis, Kimono arancione, mostra La belle epoque, Gam Manzoni, Milano.

venerdì 6 novembre 2015

SI COMBATTEVA QUI 1915-1918. Sulle orme degli Alpini nella Grande Guerra




c'è una piccola mostra a Milano, a Palazzo Moriggia, Museo del Risorgimento, in via Borgonuovo 23.

Comune di Milano | Cultura, Servizio Musei Storici e ilComitato per il Centenario Gruppo Alpini Milano Centro “Giulio Bedeschi” propongono la mostra tematica sulla Grande Guerra, 
"SI COMBATTEVA QUI 1915-1918. Sulle orme degli Alpini nella Grande Guerra", divisa in due distinte sezioni. 
La prima si concentra sulla portata storica dell’evento:dodici pannelli, realizzati dal Centro Studi dell’Associazione Nazionale Alpini, rievocano le vicende belliche e personali del Corpo degli Alpini impegnati sul fronte montano italiano unitamente ad un’esposizione di cimeli delle Civiche Raccolte Storiche. 
La seconda, una personale fotografica di Alessio Franconi, affronta il lascito della guerra a cent’anni di distanza: sessanta fotografie in bianco e nero ritraggono i campi di battaglia allo stato attuale nel primo Centenario del conflitto. Sono i “segni della storia” per far comprendere come il conflitto del 1915-18 fosse in realtà una “guerra di montagna, combattuta a metro”.

come sempre la Grande Guerra mi lascia completamente attonita, il sacrifcio umano è stato speventoso orrendo enorme, oltre la mia possibilità di immaginare lo sfracello. 
oltre 9.000.000 di vite morte.
veramente oltre, io leggo, guardo, osservo, ascolto al cinema e a teatro, e ogni volta c'è un muro dentro di me, qualcosa che non sa stare lì dentro, un rifiuto, una negazione.
penso a Olmi, Lussu, Rovereto, Milano, penso a tutto quello che ho imparato ma niente, non ci so stare lì dentro.
guardo le foto di questo giovane fotografo, Alessio Franconi, e sono stupefatta. le foto sono straordinarie, i commenti che le accompagnano ancora di più, sono commossa e atterrita, sono entusiasta e innamorata che esista un giovane che scava nella memoria della storia e della sua decimata famiglia, esistono giovani che sanno pensare e stare nel dolore e dare un senso alla propria vita affondando le radici nel tempo, nel proprio tempo.

pavesini al cioccolato

certo che se hai mangiato per mesi i pavesini alle 10 del mattino nell'ambito della dieta prescritta dalla valente nutrizionista per ridurre i kg di troppo e con un discreto successo ma con grandi rinunce e sacrifici che antepongono la salute e l'estetica al bene del gusto del cibo e della convivialità e poi escono sul mercato i pavesini al cioccolato che sono di gran lunga più buoni seppure sempre nell'ambito delle ristrettezze di godimento legato al fatto che i pavesini non sono i krumiri o le gocciole  e che consolano almeno in parte della trista costrizione alimentare, 

l'unica cosa che posso fare è controllare ossessivamente che le kilocalorie siano assolutamente invariate: 9 per pezzo.

giovedì 5 novembre 2015

monumento continuo

è un'idea visionaria che mi sta molto simpatica, augurandomi, al tempo stesso, che non si realizzi mai.
ma è la sua irrealizzabilità che rende attraente questa bizzarra invenzione, è il puro atto speculativo che mi affascina, il tempo della vita dedicato a un'idea che non prevede la sua concretizzazione.
la mostra è abitata da architetti, li riconoscerei tra la folla, sono lì, si aggirano oppure guardano i video seduti per terra, lasciano giacche e borse (ah le borse degli architetti!!) per terra, nel centro della sala appropriandosi dello spazio, e li trovo tutti singolari, non nelle scelte estetiche (sono come prodotti in serie) ma nello sviluppo delle idee.
l'architettura è materia davvero interessante, è un discorso sull'uomo e sulla terra, sul tempo e sulla storia. qui, al PAC di Milano, con Superstudio e la Supersuperficie, siamo nella pura immaginazione, nella premonizione, nella metaforizzazione supreme, supremi luoghi del pensiero umano. la progettazione architettonica -con il suo personalissimo linguaggio- diviene luogo di progetti politici, di rivoluzioni globali, strumento di sapere e conoscenza.
l'idea del Monumento Continuo viene concepita dal gruppo Superstudio, che è il maggiore gruppo radicale fondato nel 1966 da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia, ai quali in seguito si aggiungeranno Roberto Magris, Piero Frassinelli, Alessandro Magris e Alessandro Poli. la nascita ufficiale del gruppo avviene con la mostra "Superarchitettura", organizzata da Natalini nel 1966 alla galleria Jolly di Pistoia. per Natalini -che intende la Superarchitettura come "l'architettura della superproduzione, del superconsumo, della superinduzione al consumo, del supermarket, del superman, della benzina super"-, la scelta del nome 'Superstudio' è la logica conseguenza.
il monumento continuo è un'idea di architettura globale, anzi, di architettura radicale, secondo cui il mondo potrebbe trovare continuità, unità, uniformità, in una materia solida, riflettente, che lo ricopra, tutto, piazze celebri e canyon delle terra, scogliere e cucine abitabili.







La storia del Superstudio è lunga vent'anni. Era il 1966 quando nel dibattito internazionale intorno alla crisi della modernità il contributo italiano di quella che Germano Celant avrebbe definito “Architettura Radicale” – celebrata con la mostra “Italy the New Domestic Landscape” al MOMA di New York nel 1972 - si avviava ad assumere un significato centrale. La ricerca del gruppo si inserisce con forza nel contesto culturale delle neoavanguardie italiane della fine degli anni ‘60, proponendo i propri strumenti operativi alle diverse scale di progetto: dalla revisione critica delle grandi utopie megastrutturali, all'applicazione al design di processi di derivazione Pop. Nel '69 Superstudio partecipa alla Biennale Trigon di Graz con un progetto intitolato Monumento Continuo, elaborando un discorso spinto al limite sulle possibilità dell’architettura come mezzo critico. L'evento segna l'affermazione del gruppo, sostenuto criticamente da Koolhaas, Isozaki, Jencks e, nella sua visione di scala planetaria, scatena l'immaginario. È la rappresentazione per parti di una gigantesca struttura liscia e riflettente, forse vetrata, che attraversa in maniera indifferente paesaggi naturali e urbani, in grado di rivelare, oltre al metodo di lavoro utilizzato da Superstudio e al suo messaggio possibile, la forza misteriosa del progetto: la lettura di un processo politico e sociale in atto, la sua applicazione simbolica e l'osservazione degli esiti. Diffuso dalle riviste Domus e Casabella, dalle principali istituzioni culturali internazionali e sostenuto dall'industria del design, il lavoro del gruppo prosegue fino alla fine degli anni ‘70, ma la sua traccia nella cultura architettonica travalica il confine del XX secolo, giungendo a condizionare l'immaginario presente. 

PAC Milano, mostra “SUPER SUPERSTUDIO. ARTE E ARCHITETTURA RADICALE”, fino al 6 gennaio 2016.