bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 30 settembre 2016

pioggerillina sottile/bellissimo/ anche il giorno in cui cela il monte Fuji

un'ora e mezza non è bastata.
tornerò, e con vivo piacere.
sono volata via sulle ultime immagini, ho intravisto aironi, tulipani e tartarughe, infine volti di donne e una vetrina di libri aperti sotto una luce chiara in una stanza buia.
tornerò, e presto, carissimi Hokusai Hiroshige Utamaro.
quel che ho già visto è di splendente bellezza, lieve e leggero, meraviglioso e sognante, come i film di Hayao Miyazaki. ci ho pensato in continuazione, alla città incantata, al castello errante di Howl, alla principessa Mononoke, a Kiki e a Totoro.
in Giappone non sono mai stata e chissà mai se ci andrò nella mia vita ma ho già dentro di me una presentazione di tutto rispetto, mi mancavano solo le immagini del mondo fluttuante del Giappone dell'epoca Edo. mi è sembrato di navigare in un mondo altro, la mia immaginazione di una dimensione fatata e magica è già andata molto in là, sono oltre, sono affascinata, sono stregata.
la presentazione della mostra è strepitosa, le illustrazioni sono presentate su pannelli colorati e descritte su cartellini in legno compensato, le luci provengono dal basso, tutto concorre alla suggestione. ci sono haiku di Matsuo Basho, ci sono citazioni di Fosco Maraini, ci sono poesie commentate dalle immagini di Hokusai.
le immagini mi folgorano, la delicatezza artistica e la cura di Hokusai mi conquistano, la pienezza illustrativa, più sintetica e corposa, di Hiroshige mi piace. Utamaro è concentrato nell'ultima parte della mostra, l'ho solo spiato, ho visto i suoi volti di donne e per il momento mi limito a sognarli. sono proprio contenta di tornarci, mi sono fatta un bel regalo, certe meraviglie non dovrebbero finire mai.
le illustrazioni sono biglietti augurali o di invito su matrice in legno, vennero diffuse in molte copie, sono l'espressione di un'editoria di successo.
il mondo fluttuante, che rifugge dall'attaccamento terreno, ha catturato molti prima di me, impressionisti e post impressionisti, prima tra tutti Van Gogh. ho visto ponti attraversati dalla luna, cascate più simboliche che reali, ben 36 vedute del monte Fuji, 53 stazioni di posta tra Edo e Kyoto, e dettagli di una bellezza curiosa e minuziosa. in questo mondo le onde catturano come mani e gli aquiloni sono eterei e promesse di felicità, il blu è diverso da quello dello studio Ghibli, è tenue e delicato, d'altronde Hokusai costruisce atmosfere composte e silenziose in cui la gentilezza trionfa.
esiste un così fatto mondo?
si, certo, io ci credo, non posso far altro che crederci, per la mia salvezza. 

Mi vengono in mente giornate d’inverno intorno alle rive dei cinque laghi che ingioiellano a settentrione il vulcano; la vetta del Fuji riverberava allora,l’ultimo chiarore amaranto del timido sole di gennaio e si rifletteva, vitreo e remoto, come un tesoro misterioso e lucente sepolto nel ghiaccio. Oppure giornate di primavera nelle campagne ai piedi del gigante, quando ad ogni passo si ripete l’incontro fatato; qui fiori di ciliegi, lassu’ la candida cima nel cielo. O ancora giornate estive in mare: le onde del Pacifico si rompono stanche alla fine d’un lunghissimo viaggio sulle sabbie del Miho no Matsubara; file di vecchi pini contorti seguono la curva gentile della costa; alla loro ghirlanda s’uniscono le curve della spiaggia, della battigia lucente, delle criniere di spume sulle onde in arrivo; tutte linee che convergono verso un punto dell’orizzonte; e li’ altre riprendono in altra dimensione, verso l’alto, un altro slancio; come una danza meravigliosa segnata da un ritmo arcano: e’ il Fuji. 
Fosco Maraini, Ore giapponesi

venerdì 23 settembre 2016

il concerto è preceduto da una breve introduzione di Gaia Varon

-buonasera, è stato un vero piacere.
-ma grazie a lei!!
-le sue anticipazioni sono state piacevolissime, la ringrazio ancora. e questa conclusione è stata veramente degna della rassegna.
-eh si, ora ci mancherà.
così salutavo ieri sera Gaia Varon, deliziosa musicologa che ha allietato molti, credo tutti, i concerti cui ho assistito.
Il concerto è preceduto da una breve introduzione di Gaia Varon.
recitava il programma di sala. e così è stato.

meraviglioso questo MiTo, ho sentito cose eccelse, per me.
mi sono divertita tanto, ho goduto moltissimo.
sono andata fuori di testa quando, per ben due volte in 15 giorni, ho varcato la soglia della Scala.
non credo ci sia cosa più bella per un milanese (ma forse anche pe un lombardo, un italiano, un europeo, un cittadino del mondo) che andare alla Scala.
è il luogo della bellezza, per me anche di più, è come se mi regalassero un giocattolo, è una gioia bambina la mia, è un tributo a mia madre, è la mia radice.
ho sentito sinfonie bellissime, da La mer di Debussy a la Seconda Sinfonia di Rachmaninov, da Scheherazade di Nicolai Rimsky-Korsakov a la Settima di Beethoven (che poi mi ha accarezzato con la sveglia di un paio di giorni fa lasciandomi nuovamente incantata), dalle voci dei VOCES8 alla chitarra ipnotica di Toqinho accompagnata dal violoncello di Ophélie Gaillard, iei sera.
sono stata al Dal Verme, al Teatro di Vetro, al Conservatorio, all'Arcimboldi.
sono stata in piazza del Duomo a cantare, con un gruppetto ben nutrito.
ho anche ascoltato Bach e una parte dei suoi 20 figli.
ho sperato di impazzire con il Fado al Piccolo Teatro Studio ma è stata una grandissima delusione, un accompagnamento da suicidio, una simpatica novità che mi ha raccapricciato.
peccato, Cristina Branco aveva una gran bella voce, che non si sentiva.
è per me una conquista recente, quella della musica classica, e a MiTo devo moltissimo.
grazie e arrivederci a 
Il concerto è preceduto da una breve introduzione di Gaia Varon.







giovedì 22 settembre 2016

burina

certo che Berlusconi mi sembra bollito, a Salvini dice una cosa a Parisi un'altra, meglio prolungare la degenza post chirurgica. finchè regna questo assoluto caos nel centro destra non posso che vaticinare il loro annegamento, ma in realtà un'opposizione valida, di valore, di contenuto, è sempre meglio, più vitalizzante per il paese, che questa scorribanda di cialtroni (se non di imbecilli razzisti e votati all'odio).
certo è che Berlusconi ha segnato l'avvio di questa modalità di malsano avvitamento della politica con il malcostume, con l'immoralità. se è stato figlio dei suoi tempi, dei nostri tempi, è stato anche l'esempio peggiore, del peggior padre possibile, di comportamenti perversi e osceni che hanno mostrato all'Italia che la perdita di qulsiasi moralità non solo è concessa ma addirittura premiata. anni di frequentazione di puttane, di sostemtamenti economici di prostitute, di orge pubblicizzate, di sfruttamento di minori neanche lontanamente celati ma volutamente esposti non ci possono far stupire di comportamenti diffusissimi tra giovani e adulti che espongono corpi e coiti e sperma cui seguono i massacri mediatici, un bel marasma di amoralità generalizzata che, per sua innata natura, sfocia nella morte, fisica e mentale. 
al di là della delusione di non poter godere di olimpiadi italiane e di creare opportunità di cambiamento, e anche della terribile consapevolezza che questa decisione dipenda non certo da un sindaco dotato di un potere decisionale pari a quello di una lumaca ma dalle pressioni dittatoriali di un comico paranoico che ha fatto breccia, pure lui, sulla paure della gente mettendo insieme un gruppo di immaturi, quel che mi stupisce, e indigna, è il comportamento ancora una volta adolescenziale di una irresponsabile al governo della capitale.
è certo che un genitore non possa insegnare nulla ai propri figli, non possa insegnare la correttezza, l'onestà, il valore del lavoro e della moralità, il comportamento adeguato verso la propria sanità fisica e mentale se non è portatore di questi valori. vedo adulti deragliare con i propri figli se fumano, se chiedono, anzi esigono, oggetti, se non studiano, se sporcano, se insultano, se discriminano quando per primi hanno la sigaretta in bocca, mangiano e bevono a dismisura, hanno due i-phone, sprecano cibo e denaro, non hanno rispetto di colleghi e orari, insultano in macchina, hanno amanti e distruggono matrimoni sulla base di capricci e offese, non rispettano regole e non pagano le tasse.
il problema di Roma sono certamente i romani, poco dotati di senso civile.
la prima cittadina di Roma è una burina maleducata e fessa, paurosa e incivile, irrispettosa e sgarbata.
a pranzo mentre l'Italia sa che ha appuntamento alle 14 e 30.
non vedo speranze per tutti gli altri se la prima è una cafona vigliacca senza argomenti.

giovedì 15 settembre 2016

heart of a dog

mi piaciono le immagini, mi piacciono i disegni, le illustrazioni, le foto sgranate, i video distorti, la nebbia dei ricordi.
la voce, che vuole essere la sua, quella di Laurie Anderson, recita in italiano per decisione della stessa autrice, come dichiarato all'inizio del film, ma non va bene, legge male, mi rendo conto che spesso sono tesa nello sforzo di capire cosa dice e questo comporta il fatto che mi dimentico cosa dice, non lo registro in modo automatico, qualcosa mi sfugge. cos'ha detto? non capisco. non ricordo.
la stesura del testo è confusa, illogica, segue una dimensione quasi onirica. in effetti il film inizia con un sogno, che è la natura stessa del film. Laurie partorisce il cane, il suo amatissimo cane ormai scomparso (non c'è bisogno di spiegare direi), tra sangue e sensi di colpa, ovvero quello di aver messo in scena il suo parto avendolo cucito dentro la sua pancia per rappresentarne la nascita.
cominciamo bene, penso io.
l'antropormifizzazione degli animali è un bel problema, ormai dilagato esploso incontenibile.
almeno lei non ne fa mistero, che lo fa parlare, lo fa artista scultore, lo fa suonare.
l'addomesticamento forzato a essere umano è tanto violento sull'animalità quanto la vivisezione, ma vai a spiegarlo al fanatismo imperante.
il film si dipana in guisa di una seduta analitica, traumi e misteri si dispegano tra le mani incerte e credo stupefatte dello spettatore.
angoscia trapela nel tentativo di spiegare la morte, l'autrice adotta l'interpretazione tibetana che vuole che nei 49 giorni dopo la morte (il bardo) lo spirito vaghi tra le cose della sua vita senza corpo, e in una dimensione di pura angoscia presenta lo smarrimento di una mente senza corpo tra le cose reali della vita, avanzate dopo la sua ultima espirazione.
sarà mai possibile?
racconta che l'udito è l'ultimo tra i 5 sensi ad abbandonare la coscienza, monaci tibetiani parlano ai morti appena deceduti, urlano loro qual è la luce verso cui si devono dirigere, non la più vicina, quella lontana.
certo l'idea della morte porta grande spavento, il tentaivo di dargli un senso, una direzione, una consistenza, un avvicendarsi ulteriore quando la vicenda è finita è molto peggio, sul piano emotivo del vivo, che accettarne l'ineludibile mistero.
mi sembra che la Andeson si spenda molto anche nel tentativo di dare un senso alla vita, esco dal film pensando che c'è molto dolore in giro e che l'eccesso di senso è una malattia sempre più diffusa.
dare un significato certo, scritto, documentato a vita e morte è il compito delle dittature, in ognuno di noi alberga evidentemente una profondissima violenza autodiretta, anche questa lo è.
colgo un senso di disperazione violentissima, l'autrice vaga stordita tra i ricordi dell'infanzia, traumatici: prima una sua caduta da un trampolino che la vede paralizzata in un ospedale pediatrico, ricoverata tra bambini ustionati di cui rammenta le urla e i pianti notturni e li registra nell'inconscio come i suoni dei bambini che muoiono, e dopo lo scivolamento dei fratelli gemelli dentro un lago ghiacciato che si rompe sotto il peso del passeggino, il loro drammatico salvataggio da parte sua e la madre che la elogia, freddamente, sulle sue buone capacità di nuotatrice mentre riceve i corpi ghiacciati e urlanti dei gemelli sopravvissuti.
sostiene che il ricordo della prova dell'amore della madre, il preciso episodio, sia una medicina potentissima contro l'apatia.
dice anche, e solo qui condivido cercando di mantenere un po' di distacco da questo grumo confuso e grondante di dolore che ha messo sullo schermo, che la morte ci permette di liberare amore.
quel che credo, semplicemente, è che la morte dia senso alla vita. senza sarebbe un pozzo d'angoscia, un affanno senza scopo. forse Laurie Anderson dovrebbe semplicemente accettarla, la fine segnata dalla morte, affannarsi a prolungare la vita oltre la morte le procura dichiaratamente una sofferenza senza fine.

mercoledì 14 settembre 2016

va' pensiero

avrei voluto essere alta. ma in modo chilometrico.
oppure seduta su una torre.
forse bastava essere sulla statua di Vittorio Emanuele II.
volevo vedere e sentire la piazza che cantava. tutta.
perché io c'ero ma ero, praticamente davanti al palco, piccola e stonatissima e sentivo solo la mia orrida voce e quella, a volte eccelsa, delle persone intorno a me. parecchie, non so quante.
ho letto 12.000 persone, in tutta la piazza.
non so.
io c'ero.
mi sono emozionata ai Carmina Burana e con Va' pensiero.
l'idea di una piazza di gente (nuova unità di misura) che si ritrova sabato 10 settembre in Duomo per cantare all'Open Singing di MiTo, è geniale e galattica.
io c'ero ma non riuscivo a sentire tutti.
invece io volevo sentire tutti perché ho scoperto che alcune cose mi emozionano moltissimo.
la coralità è una di queste. 





lunedì 12 settembre 2016

eleven years

Il tempo delle donne.
Milano, Triennale.
mi devo ricordare che si tratta di un evento giornalistico, non culturale o psicoanalitico, altrimenti rischio di uscirne delusa.
nella gran parte delle situazioni non mi trovo d'accordo, la posizione dominante, che si ripete come un mantra in ogni occasione di incontro, recita la superiorità femminile, la natura femminile offesa dalla prepotenza e stupidità maschile, la ripetizione incessante dell'acquisizione di una libertà assoluta che ci fa belle, nuove, spregiudicate, sessualmente rinnovate, ma, lo aggiungo io, ancora infelici e molto spesso sole.
mi sono invece sembrate molto centrate le dottoresse che ho sentito parlare di ginecologia, oncologia, neurologia, nell'ordine Graziottin (tosta accipicchia), Dal Verde, Cavalla, relativamente a patologie di genere e ai rischi spaventosi cui si sottopongono le donne con l'acquisizione di alcuni comportamenti storicamente maschili (ed era un gran vantaggio fossero solo loro) ora anche stupidamente femminili (ed è un'enorme fregatura adesso per noi).
sono rimasta colpità dalla pochezza degli interventi di Irene Cao, Elisa Sabatinelli, neo scrittrici porno soft, e di Monica Stambrini, regista del gruppo Le ragazze del porno. un problema tutto femminile ma che le donne ignorano o fingono di ignorare è che spesso, troppo spesso, mancano di capacità di tematizzare le proprie scelte. notoriamente alle donne le parole non mancano quando si tratta di relazionarsi, in particolare con gli uomini che rispondono per lo più con prolungatissimi silenzi, ma sembrano improvvisamente privarsene quando si tratta di argomentare, al di fuori dell'amore e delle richieste in questo campo. da una donna che sceglie il porno nella sua attività registica mi aspetto una capacità di motivare e argomentare le proprie scelte con le palle e le contropalle, invece mi trovo davanti a un vuoto cosmico di parole per dirlo, o forse proprio di parole per strutturarlo. 
se vogliamo emanciparci e "fare gli uomini" in tutte le cose, porno compreso, mi aspetto che, come gli uomini, siamo capaci di motivarlo e di farne un discorso personalizzato, ragionato, argomentato.
piuttosto il nulla, si disquisiva, senza "sapere bene" (testuali parole della Stambrini) sulle differenza tra erotismo e pornografia. aiuto.
la De Filippi rimane per me un mistero del cosmo (su Emma, presente con lei sul palco, non mi soffermerei più di tanto) perché mi sembra una donna intelligente, quanto meno intelligente da un punto di vista comportamentale, poi però non mi capacito come non riesca a farsi domande sul mondo che porta in televisione. appare convinta che la realtà televisiva coincida con il reale, non posso credere che basi la sua conoscenza del mondo e delle persone che la abitano sui comportamenti perversamente mutanti mediati dal mezzo televisivo. eppure.
Claudio Risé, psicoanalista junghiano, mi è parso capace e integerrimo, soprattutto molto posato rispetto alle domande, piuttosto aggressive in tema di maschi perduti e idioti, di Diamante D'Alessio. poi è entrato Ramazzotti e sono uscita io.
nel salone d'onore parla una giornalista e scrittrice musulmana, Mona Eltahawy, doppia cittadinanza egiziana e statunitense, e presenta, verbosamente, la sua rivoluzione culturale. io direi tutta sua, tutta interna e personale, non riesco a identificarla, totalmente disaggregata com'è dalla realtà di una musulmana media, con una possibile evoluzione della posizione femminile delle donne del Medio Oriente e del Nord Africa. senza velo, in gonna, scollata, sessualmente libera. la domanda che mi frulla nella testa per tutto il tempo dell'intervista è se una donna musulmana credente e osservante desideri realmente emanciparsi al livello di una donna occidentale. perché questa è l'unica cosa che ci possa interessare, l'eventualità di una possibile scissione tra religione e comportamento sociale, ammesso e non concesso che a una donna musulmana possa interessare. perché è inutile cercare prima di rivestire le donne che si tolgono il velo (così raccontava la giornalista) e poi di svestire quelle che indossano il burkini, l'emancipazione o l'adesione a un credo è una questione individuale, guai se ci mettono il becco le leggi di uno stato.
ciò a cui voglio arrivare è la presentazione più interessante del convegno, ovvero la storia fotografica di Jen Davis, fotografa americana che per ben 11 anni si è fotografata, obesa. 
è straordinaria la potenza delle foto, belle, che presenta. 
la luce la coglie sempre in una intensità espressiva, corporale, autentica.
il discorso che accompagna le immagini è stato meno interessante, quel che è evidente è che quel corpo, così deformato e malato, è, in quegli scatti, al centro assoluto del cosmo fotografico.
un intervento bariatrico l'ha portata a perdere molti kg, fino a una rotondità più che accettabile, ma è il percorso associato alla sua rappresentazione fotografica che fa di questa donna un evento vivente.

da Eleven Years, di Jen Davis.

giovedì 8 settembre 2016

game over

il gioco della verità è un gioco impossibile. soprattutto è inattuabile.
possono permetterselo solo i bambini.
ci provano gli adolescenti nel conflitto con l'età adulta, a costo della loro stessa vita.
ci si prova e si si avvicina, alla verità, nella stanza dell'analisi.
molte pagine sono state scritte e molti film sono stati girati sull'argomento.
la pratica della verità è inattuabile per l'uomo, la sua stessa struttura prevede che la verità inacettabile alla coscienza verga relegata all'inconscio, luogo da cui la verità stessa lo manovra, lo domina, lo fa agire insodisfatto, diviso, sofferente, nello scarto tra ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere.
farne un vessillo, addirittura un movimento politico (o a-politico) prevede, da una parte, un movimento adolescenziale irrisolto, immaturo, con tutte le caratteristiche impraticabili dell'adolescenza, dall'altra un progetto inattuabile, inconsistente, infondabile.
se poi il meccanismo è praticato da un ebete, il risultato non solo è fallimentare, è dannoso.
le raggi e i di maio si muovono arroganti e inconsapevoli, l'una inguardabile nella sua pochezza, nei suoi raggiri di parole, l'altro insostenibile nei suoi viaggetti propagandistici a Londra e in Israele e poi vigliaccamente nascosto dietro le gonne di mamma quando l'acclamata verità lo rincorre, di fatto, colpevole.
un farsa insostenibile ai miei occhi. e certamente non solo i miei.
perchè posso perdonare, anzi lo faccio e lo ascolto, il tentativo umano spesso maldestro e bizzarro di fare qualcosa della nostra incapacità a gestire il reale, ma non posso tollerare che di questo si faccia un movimento, un gruppo che abbraccia un'idea immatura e ne fa un evento, di fatto impraticabile.
come se il movimento dell'adolescenza, necessario ma necessariamente transitorio, si facesse permanente. 
quel che accade è che questa gente sta implodendo all'interno di un meccanismo che ovviamente non funziona, si ingarbuglia dietro raggiri e bugie, quelle che si fanno e dicono tutti i giorni e che loro additano come colpevoli, ma inevitabilmente abitandoli, si avvita tra deliri di purezza e derive paranoiche.
dopo 10 ore di direttorio (democrazia diretta?) se ne escono con un "avevo letto male" (fosse anche vero consiglerei al simpatico e incorruttibile Robespierre de noartri di farsi una seduta analitica con qualcuno che gli spieghi il valore degli atti mancati, in questo caso non potrebbe essere più VERITIERO della contraddzione di cui si fa portatore) e i soliti vaffa e ipotesi di complotto, quelli che dice un figlio diciottenne quando gli si fa notare le sue evidenti contraddizioni.
difendono il partito, e non potrebbero fare diversamente, dimenticandosi del loro iniziale mandato.
raggi dovrebbe andare a casa, di corsa, per inettitudine e disonestà, ma il peso della morale non è mai uno per chi se ne fa inflessibile portavoce, ha sempre facce diverse a seconda del destinatario.
è ben noto che i peggiori moralizzatori sono da sempre i più perversi.
è noto che chi alza la voce, si altera e si adira, ha un problema con il tema specifico di cui tratta.
è ovvio che fare della verità e trasparenza il proprio mantra significa infilarsi in una posizione impossibile, contradditoria dell'esistenza stessa.
da due mesi a Roma si consuma la rappresentazione perversa di un gruppo settario visionario incapace  e perso dietro i suoi stessi proclami nel tentativo infantile di sostenerli, intanto Roma è sporca, gli autobus non vanno, le delibere non si votano (fa' caldo dice Salvatore Romeo, come la pubblicità della Nestea) intere giornate ipoteticamente di lavoro trascorse a nascondere assessori indagati, a far fuori amici e parenti, nella peggior pratica pubblica della menzogna.
game over.

lunedì 5 settembre 2016

tutto il mio lavoro è una sorta di teatro, la messa in scena. se vogliamo, del combattimento spietato che da un secolo si combatte tra parola e immagine

la mostra di Isgrò a Palazzo Reale è una strana esperienza.
consente di osservare un lavoro e di conoscerlo, per quanto la sua esposizione non abbia niente a che vedere con il suo messaggio.
mi sembra che il lavoro di Isgrò consista nella sua idea, una e unica, che viene declinata in varie forme, e nella sua applicazione pratica: la cancellatura.
ma quella riga, spessa e rotonda, sovrapposta alla parola, dovrebbe essere considerata un suggerimento, e, eventualmente, una proposta di lavoro individuale, ognuno a casa propria, ognuno al cospetto di un testo da sottrarre all'oblio e alla distruzione.
eventualmente, piuttosto, l'opera di Isgrò andrebbe rappresentata, a teatro, andrebbe agita pubblicamente, perché una volta fatta e poi esposta è solo cosa fatta, invece la sua forza sta nel gesto, nella sua attuazione.
la frase ormai cancellata è nella dimensione del reale, del compiuto.
nella cancellazione invece c'è tutta la forza del simbolico.

piacerebbe a Lacan:
Una parola cancellata sarà sempre una macchia, ma resta pur sempre una parola. Un particolare smisuratamente ingrandito di Kissinger o di Mao sarà un’immagine cancellata, ma resta pur sempre un’immagine.
Non è nella negazione o nella interdizione il potere reale della cancellatura; quanto piuttosto nella capacità di aprire le porte al linguaggio fingendo di chiuderle.
un'idea immensa, un progetto intellettuale di grande rispetto.

venerdì 2 settembre 2016

se mi lasci non vale

scusate se insisto ma non si può fare.
un sindaco che piange non mi sta bene.
adesso basta oppure mollo è uno sfacelo.
e nemmeno mi sta bene che non si presenti in giunta perchè è stressato (teme di essere interrogata?), che ne esca prima per andare da suo figlio, che porti il piccolo sugli scranni, no.
il sindaco è tale, una figura istituzionale, e la sua appartenenza di genere non mi interessa.
se vogliamo che il genere non interferisca allora non deve interferire. 
nè prima rispetto alla nomina, nè dopo rispetto agli impegni.
qualcuno parla di asilo mariuccia, qualcuno di asino in mezzo ai suoni. Vedi Travaglio e Ferrara.
quel che vedo io è che delle faccende personali del sindaco di Roma non me ne frega nulla e assolutamente non devono arrivare in pubblico. così come non ne arrivano di Sala nè della Appendino.
la bufale della rivoluziona antipartitica e apolitica mostra la sua voragine.
inefficienza, incompetenza, fragilità di nervi, emotività, inconcludenza e soprattutto, affari di potere della peggiore specie, della peggior politica imbecille, della politica che ignora se stessa.
se per amare la vita ci vuole la vita
per fare politica, e governare lo è, bisogna sapere fare la politica.
immaginavo, temevo, che l'impermeabile in bicicletta fosse preambolo di inconcludenza.
direttorio è una parola filo sovietica, mi fa orrore il sapore di setta dei 5stelle, mi sembrano un branco di visionari, arroganti, infarciti di alfa privativo mai poi di fatto ingabbiati da iperboli della peggior politica italiana.
un sindaco lo voglio indipendente dalla politica governativa, dal partito di appartenenza, originario ma poi autonomo. la Raggi, al contrario, sembra incapace di autonomizzarsi, la vedo robotizzata, confusa e imbambolata da un direttorio invadente, mi fa pensare a una Ambra Angiolini teleguidata da Boncompagni.
lunedì Grillo sarà a Roma per sbrogliare la matassa, come se Renzi fosse venuto a Milano per sistemare i guai di Pisapia. non capisco come questa gente, che dichiara in modo stellare l'idea di un progetto rivoluzionario per l'Italia, non si renda conto della vergogna, della pochezza umiliante di questo gesto che rivela una debilità imbarazzante, una tenuta politica pari a quella di una ragnatela.
ascolto frasi sibilline, nessuna presa di posizione, vedo una personalità fragile (aahh com'è dura fare il sindaco, dice con la sua collanina di perle, ahhh e che pena penso io, come se ai miei pazienti rivelassi con le occhiaia quanto sono stressata nel vederli) l'abitudine a qualche consulenza legale che tradisce l'immaturità dell'inesperienza, vedo le parole che galleggiano sul vuoto condite per di più dalla tracotanza burina di sostenere di saper fare senza avere mai fatto.
la paranoia della trasparenza fa apparire il drammatico spessore di un velo, trasparente, l'ossessione delle regole, delle comunicazioni su facebook (alle 4 del mattino? non capisco se per mostrare la sua gravissima insonnia depressiva da crollo emotivo o, peggio ancora, da quel lavoro che non sa concludersi protratto fino all'alba) tradiscono una trama a maglie larghissime dove tutto trasuda, dove si ha tutto il tempo di sapere delle amicizie inconsuete della Muraro e delle mosse maldestre via Cantone per liberarsi di una Raineri strapagata imposta e mal digerita.
correnti interne volentissime, dimissioni a catena, una giunta mal fatta, sbriciolata da una totale mancanza di coesione, il peggior spettacolo possibile all'Italia e al mondo, che sfacelo, che vergogna, abbiamo una ragazzotta emotiva e insonne poco strutturata e molto condizionabile a capo della capitale.
a Roma il sindaco non è pervenuto, ha mille facce e quindi nessuna.