bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 10 ottobre 2016

go. go. go.

mi hanno fregata, eppure mi fidavo.
Magda Poli gli ha dato 8,5 in una breve recensione sul corriere.
pensavo ci fosse una certa intesa tra noi due, Magda, come hai potuto farmi questo?
metafisica? in scena istintualità e spirito? spettacolo sorprendente per intensità, lievità, colore e ritmo? un vento fresco che disvela il legame profondo tra il poeta e il regista?
forse ho visto un altro spettacolo, io ero al Teatro dell'arte di Milano a vedere go. go. go. di Sokurov e mi sono annoiata parecchio.
penso che quando qualcosa ci vuole piacere per un attaccamento ideologico ce lo facciamo piacere senz'altro, ma pensavo anche che questa giornalista non fosse impantanata in questa faccenda vecchia come il mondo.
lo spettacolo è francamente brutto, noioso, slegato, mal recitato, scontato, banale, confuso.
vivo ormai nella convinzione che i testi teatrali sian già stati tutti scritti, a partire dai classici greci fino Beckett e poco altro. nel mezzo ci stanno alcuni geni ai quali sarò eternamente grata ma alle rappresentazioni teatrali attuali concedo l'invenzione di altri strumenti espressivi che non sono la scrittura di testi drammaturgici piuttosto l'impiego del corpo, della musica, dell'arte visiva multimediale.
un moderno che scrive un testo teatrale è destinato al ridicolo, per qualche motivo non è più tempo per le parole. 
di solito schivo abilmente proposte teatrali in cui avverto la possibilità di incappare in queste trappole mortali, questa volta mi sono lasciata fregare, causa la fiducia.
i due uomini topo protagonisti già sono una caricatura, dicono frasi banali svuotate di senso figurarsi di sorpresa, guardano il pubblico immaginandolo buono da mangiare, leccano la terra per cibarsi di capelli, narrano di tutti gli affreschi e i testi di Dante di cui si sono saziati.
in mezzo alla scena c'è l'altare del godimento, contiene il grana ambito dai due disgustosi personaggi.
in fondo alla scena scorrono scene di Roma di Fellini, peraltro non il suo film migliore, ma immagino sia il tributo alla cultura ormai sepolta del secolo scorso.
una signora sguaiata che recita da cane, temo la nipote di Anna Magnani, entra in scena senza nessun buon motivo e nulla da dire, un signore distinto, l'unico che salverei, fa il poeta Iosif Brodskij e recita poesie fuori contesto come se la poesia piazzata così potesse nobilitare il testo teatrale o far da testimonianza della spiritualità.
una strana folla abita il palcoscenico, non è un coro, non è una voce, è una massa che mediamente recita e dice male.
lo spettacolo non suggerisce nulla, non costruisce nulla, non implica nè comunica nulla se non l'immensa supponenza di poter narrare la bruttura del nostro tempo attraverso un'ora di vuoto cosmico, di parole senza presa, di immagini ormai archeologiche, polverose e sbiadite tanto sfruttate dal tempo e da tutta la più triviale narrazione che prevede nel topo l'incarnazione della spazzatura vivente.
il pubblico mi è sembrato freddo e dubbioso.
io? 
abbindolata.


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