bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 24 febbraio 2017

Quel ch'ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente, sì è novo miracolo e gentile

me lo spiega Baricco in una bellissima trasmissione su Rai 5, Mantova Lectures.
sulla verità.
impegnativo.
mi racconta la storia del sonetto italiano, mi spiega il valore della mappa, mi gesticola il senso della sintesi, mi intona e mi mima l'effetto dello schema che contiene il vero ma solo lo rappresenta.
d'altronde, come dargli torto, non potremmo sopravvivere al rumore assordante della nostra vita se lo cogliessimo per intero. ne verremmo sopraffatti, schiacciati, totalmente annullati.
meccanismi di sopraelevazione dal rumore di fondo sono necessari a dare un senso alla giornata, l'organizzazione per mappe è necessaria a una finalizzazione dei nostri gesti.
certo, la bellezza, il noumeno, rimane lontana e irraggiungibile, la possiamo cogliere solo per brevi attimi, ma, che attimi!
mi invita a leggere il sonetto di Dante, mi illumina sull'endecasillabo, sul 4+4+3+3 del sonetto, sulle convenzioni della forma, mi ipnotizza sulla cadenza e musicalità italiana.
quell'accento sulla decima è il nostro modo di parlare, è la nostra narrazione della verità.
è incanto e musica. è rotondità.
d'altra parte, mi mostra la potenza del verso shakespeariano, il blank verse, altro ritmo: siamo, lì, nella dimensione del ritmo armato, della battaglia, degli eserciti che marciano.
ebbene si, anche questa è storia. 
ecco Dante, e un meraviglioso sonetto della Vita Nova.
un abbagglio di bellezza.

Negli occhi porta la mia donna Amore, 
per che si fa gentil ciò ch'ella mira; 
ov'ella passa, ogn'om vèr lei si gira, 
e cui saluta fa tremar lo core, 
sì che, bassando il viso, tutto smore, 
e d'ogni suo difetto allor sospira: 
fugge dinanzi a lei superbia ed ira. 
Aiutatemi, donne, farle onore. 
Ogne dolcezza, ogne pensero umile 
nasce nel core a chi parlar la sente, 
ond'è laudato chi prima la vide. 
Quel ch'ella par quando un poco sorride, 
non si pò dicer né tenere a mente, 
sì è novo miracolo e gentile.

ogni verso è un battito di ciglia.
e così si pone lo sguardo su lei che passa,
così si compie la bellezza dello sguardo.
a un passo sopraelevato rispetto alla bolgia di sotto.
ed è da qui, da questa matematica bellezza del verso italiano e dalla sua potenza espressiva, che quel gran geniaccio del nostro Dante si mette in testa che il mondo possa essere spiegato così, in siffatta maniera.
il mondo, il monumento altissimo della verità, la visione della vita si può raccontare in inferno purgatorio e paradiso, tutto sulla costruzione del sonetto, sulla musica dell'endecasillabo.
è chiaro che questo lavoro sovrumano di sistematizzazione del sapere è una confezione pregiatissima, è la sintesi poetica del vero, del reale che ci sovrasta, del caos che ci governa.
ma è bello sapere che qualcuno ha provato, e ancora prova, a dare una forma, leggibile e bellissima, del mondo.
è bello che qualcuno abbia cercato e cerchi ancora di mettere una forma all'inconoscibile del mistero.
e poi, che coincidenza, sono andata a vedere uno spettacolo rispettabilissimo all'Out Off in cui Chiara Guidi, voce, e Francesco Guerri, violoncello, mi hanno mostrato l'inferno di Dante in parole e musica, incantandomi.
o incatenandomi.
ascoltavo e capivo che Dante è nella mia memoria, è nella mia conoscenza, è nel mio immaginario, è nel mio mondo. è lì, una base indelebile che a ogni richiamo si risveglia.
mi sono trovata travolta da quell'andamento ipnotico del verso, riconoscendo qualcosa di me, anche della mia storia, emotiva, culturale.



Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb' esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi».

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