bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 18 maggio 2017

mai scordare come ci assomiglia il VOI

«Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono/ di quei sospiri ond’io nudriva ’l core». 
Così comincia il sonetto che apre il Canzoniere di Francesco Petrarca. Il pronome che indica la seconda persona plurale è posto in posizione enfatica, all’inizio della lirica. Mediante il Voi, l’autore interloquisce col suo pubblico, lo convoca all’ascolto, lo coinvolge nel sentimento di vergogna per un «vaneggiar» che lo ha fatto diventare una «favola» per il «popol tutto», chiede infine perdono per il suo «primo giovenil errore». 
Già in questi versi, carichi di suggestione, affiora il paradosso che è alla base del pronome personale Voi. Da un lato, infatti, usandolo, distinguiamo nettamente il campo fra Noi e coloro ai quali ci rivolgiamo, accomunati dall’essere appunto Voi, e cioè comunque altro rispetto a Noi. Dall’altro lato, nell’atto stesso in cui pronunciamo il pronome, istituiamo una relazione, perché il Voi, per sussistere, ha bisogno del rapporto con una prima persona (singolare o plurale) che ponga appunto l’alterità, e la nomini col Voi. Ne risulta che ciò che potrebbe a prima vista apparire come un mero dettaglio grammaticale, rilevante solo per gli studiosi di linguistica, si rivela invece denso di importanti implicazioni filosofiche. 
Sia pure implicitamente, l’uso della seconda persona lascia emergere l’impossibilità di scindere le due «persone» che sono nominate attraverso i pronomi. Senza la connessione — tacita o dichiarata — col Voi, l’Io semplicemente non potrebbe costituirsi come soggettività e sfumerebbe nell’indeterminato. Mentre a loro volta le persone a cui ci rivolgiamo attribuendo ad esse il Voi non potrebbero essere riconosciute come «persone» (seconde), se mancasse la relazione con un Io/Noi che tale relazione ponga in essere con la nominazione. 
Usando il Voi, effettuiamo insomma una duplice operazione di allontanamento e avvicinamento: coloro ai quali riferiamo il pronome, per il fatto stesso di essere chiamati Voi, sono riconosciuti come «altri», e dunque lontani da ciò che Io sono, dalla mia identità. Dall’altro lato, quell’alterità non è solo diversità, perché proprio attraverso l’uso del pronome, proprio perché «chiamati» col Voi, gli altri entrano in relazione con me, e dunque in un certa misura mi «assomigliano». 
Sempre più frequentemente la relazione fra il Noi e il Voi ha assunto il carattere del rapporto con quell’altro da noi, col quale entriamo in contatto tramite il fenomeno dell’immigrazione. Con un’importante precisazione. Mentre, già a partire dal Cinquecento (si pensi ad esempio al Proemio dell’Orlando furioso), e poi fino ai nostri giorni, il voi è usato anche in riferimento a una sola persona, come forma di rispetto, il Voi rivolto ai migranti è caricato di una forte enfasi sull’alterità radicale delle persone indicate. Col rischio concreto che il rifiuto dell’alterità del Voi porti con sé anche la cancellazione dell’identità del Noi.

Umberto Curi
La lettura 7 maggio 2017.

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