bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 5 ottobre 2017

E il furore cominciò a fermentare

I randagi, i questuanti, adesso erano emigranti. Le famiglie che erano vissute in un piccolo podere, che erano vissute e morte in quaranta acri di terra, che si erano nutrite o avevano patito la fame con il raccolto di quaranta acri, adesso avevano tutto lo sconfinato Ovest per peregrinare. E sciamavano in cerca di lavoro; e le strade erano fiumi di gente, e i fossi lungo le alzaie erano file di gente. E altra gente arrivava dietro di loro. Le grandi arterie pullulavano di gente che emigrava. Nel Middlewest e nel Southwest era vissuta una semplice schiatta di contadini che non erano cambiati con l’industria, che non avevano mai lavorato la terra con le macchine e non conoscevano il potere e il pericolo delle macchine in mani private. Non erano cresciuti nei paradossi dell’industria. I loro sensi non erano ancora ottenebrati dalle incongruenze della vita industriale. 
Ma all’improvviso le macchine li scacciarono, e si ritrovarono a dover sciamare lungo le strade. La vita randagia li cambiò; le grandi arterie, i bivacchi lungo la strada, la paura della fame e la fame stessa li cambiarono. I figli affamati li cambiarono, l’interminabile vagare li cambiò. Erano emigranti. E l’ostilità li cambiò, li saldò, li unì; l’ostilità che induceva i centri abitati a raggrupparsi e a equipaggiarsi come per respingere un invasore, manipoli armati di manici di piccone, garzoni e bottegai armati di fucili, per difendere il mondo contro gente del loro stesso sangue. 
Nell’Ovest si diffuse il panico di fronte al moltiplicarsi degli emigranti sulle strade. Uomini che avevano proprietà temettero per le loro proprietà. Uomini che non avevano mai conosciuto la fame videro gli occhi degli affamati. Uomini che non avevano mai desiderato niente videro la vampa del desiderio negli occhi degli emigranti. E gli uomini delle città e quelli dei ricchi sobborghi agrari si allearono per difendersi a vicenda; e si convinsero a vicenda che loro erano buoni e che gli invasori erano cattivi, come fa ogni uomo prima di andare a combatterne un altro. Dicevano: Quei maledetti Okie sono sporchi e ignoranti. Sono maniaci sessuali, sono degenerati. Quei maledetti Okie sono ladri. Rubano qualsiasi cosa. Non hanno il senso della proprietà. E su quest’ultima cosa avevano ragione, perché come può un uomo senza proprietà conoscere l’ansia della proprietà? 
E i difensori dissero: Sono sporchi, portano malattie. Non possiamo lasciarli entrare nelle scuole. Sono stranieri. Ti piacerebbe veder uscire tua sorella con uno di quelli? 
Gli indigeni si suggestionarono fino a crearsi una corazza di crudeltà. Formarono drappelli, squadre, e li armarono: li armarono di manici di piccone, di fucili, di gas. Il paese è nostro. Non possiamo lasciare che questi Okie facciano i loro comodi. E gli uomini che venivano armati non possedevano la terra ma pensavano di possederla. E i garzoni che di notte facevano la ronda non possedevano nulla, e i piccoli bottegai possedevano solo debiti. 
Ma anche un debito è qualcosa, e anche un salario è qualcosa. Il garzone pensava: Io prendo quindici centesimi a settimana; che faccio se un maledetto Okie si accontenta di dodici? E il piccolo bottegaio pensava: Come la reggo la concorrenza di uno che non ha debiti? E gli emigranti sciamavano per le contrade, e nei loro occhi c’era la fame, e nei loro occhi c’era il desiderio. Non avevano discorsi, non avevano criteri, non avevano altro che la loro quantità e il loro bisogno. Quando c’era lavoro per un uomo, dieci uomini lottavano per averlo – e la loro unica arma era il ribasso di paga. Se quello lavora per trenta centesimi, io ci sto per venticinque. 
Se quello lavora per venticinque centesimi, io ci sto per venti. 
No, pigliate me, ho fame. Lavoro per quindici centesimi. Lavoro per qualcosa da mangiare. I miei figli. Dovreste vederli. Gli sono spuntati dei cosi neri, pustole, e non riescono a muoversi. Gli ho dato della frutta che c’era per terra, e gli s’è gonfiata la pancia. Pigliate me. Lavoro per un pezzetto di carne. 
Ed era un affare, perché le paghe scesero e i prezzi rimasero alti. I grossi proprietari erano contenti e fecero distribuire altri volantini per far arrivare altra gente. E le paghe scesero e i prezzi rimasero alti. In attesa di tornare ai tempi della schiavitù. 
A quel punto i grossi proprietari e le imprese inventarono un nuovo metodo. Un grosso proprietario acquistava un conservificio, e quando le pesche e le pere erano mature, abbassava il prezzo della frutta sotto il costo di coltivazione. Così, in quanto proprietario del conservificio, pagava a se stesso un prezzo basso per la frutta e faceva profitti mantenendo alto il prezzo del prodotto in scatola. I piccoli coltivatori che non possedevano conservifici persero le loro fattorie, che vennero assorbite dai grossi proprietari, dalle banche e dalle imprese che possedevano anche i conservifici. Con l’andar del tempo le fattorie diventarono sempre meno. I piccoli coltivatori si trasferirono in città, giusto il tempo di sfruttare fino all’osso i risparmi, gli amici, i parenti. Poi finirono anche loro sulle grandi arterie. E le strade pullulavano di gente assetata di lavoro, pronta a tutto per il lavoro. 
E le imprese e le banche stavano scavandosi la fossa con le loro stesse mani, ma non se ne rendevano conto. I campi erano fecondi, e i contadini vagavano affamati sulle strade. I granai erano pieni, e i figli dei poveri crescevano rachitici, con il corpo cosparso di pustole di pellagra. Le grosse imprese non capivano che il confine tra fame e rabbia è un confine sottile. E i soldi che potevano servire per le paghe servivano per fucili e gas, per spie e liste nere, per addestrare e reprimere. Sulle grandi arterie gli uomini sciamavano come formiche, in cerca di lavoro, in cerca di cibo. E il furore cominciò a fermentare.

Furore, legge e commenta Alessandro Baricco su RAI 3.
e questo lo sa fare bene.
ascolto e sono rapita, come ho già avuto modo di scrivere, questo romanzo è un capolavoro.
ritrovo parole e personaggi, atmosfere e immagini mentali.
vedo la polvere, vedo le strade, vedo la gente, vedo la rabbia, sento il furore.
come scrive Aldo Grasso sul Corriere, questi reading, tutti, sono cerimonie laiche. 
e qui si celebra, con rito universale e di perdurante verità, la miseria umana del migrante, la schiavitù, la derelizione, la morte per fame, la passione di cristo. 
amen.

2 commenti:

marco eugenio ha detto...

Furore, un romanzo che mi ha marchiato a fuoco.
Se queste cose avessero senso e utilità, sarebbe da rendere “obbligatorio”nelle scuole, accanto o al posto dei Promessi Sposi”
Un saluto
Marco

Rossa ha detto...

Buongiorno Marco,
Furore è un libro indimenticabile, so che ti piace molto, ma devo dire che non lo sostituirei ai Promessi Sposi...
rileggilo, o ascoltalo nella versione di Paolo Poli o di Fabrizio Gifuni (Ad alta voce, rai radio 3).
ti ravvederai.