bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 21 dicembre 2017

Paura - i capolavori di Parise non finiscono mai

Una sera di nebbia e di sirene al Lido di Venezia una signora sola tornava a casa: aveva settant’anni, era vedova e nella sua vita aveva avuto poca compagnia salvo una serie di gatti siamesi una ventina d’anni prima, poi un bassotto che era morto prestissimo in seguito al suo troppo zelo nel nutrirlo (mangiava solo tagliatelle al burro e fegatini di pollo) e il marito. Ma anche quello era morto due anni prima e di lui restava soltanto il ricordo vago, come di un’ombra alta e un po’ curva con due baffetti che ora, a ricordarlo nella nebbia, si perdevano nella nebbia. Da poco aveva un canarino. 
La figura di questa donna era insieme infantile e animale: rotonda, con una pellicciotta interna che l’arrotondava ancora di più, aveva un colbacco rotondo e tutta la sua persona, sostenuta da gambe come colonnine fragili, si muoveva nella nebbia con l’incertezza di un bambino di due o tre anni che impara a camminare. Procedeva lentamente, come portata avanti dalla collottola, che aveva grassa e robusta come una piccola gobba tra il collo corto e l’inizio della spina dorsale: quel punto, tra testa e schiena, racchiudeva nella sua convessità una forza animale e suina che era il segreto della sua prepotenza e del suo egoismo. Ma, come accade in nature così composite tra animalità e umanità, la signora aveva occhi celesti chiari di bambina bizzosa, capricciosa e infinitamente ingenua, sempre pronta a ridere. Così, con tutte queste cose nel corpo, fragilità, animalità, bizzosità e allegria procedeva lentamente (ma inesorabilmente) nella nebbia dei vialetti deserti del Lido. Pensava, ma in modo anche quello composito, come in sogno, a metà tra la sensazione e il pensiero. 
Pensava a una pentola a pressione che aveva visto usare proprio quella sera e che avrebbe voluto comprare senza essere certa di saperla usare e dunque con un po’ di paura per l’accumulo di pressione e lo scoppio. Quella pentola però mancava alla sua collezione di pentole, tutte nuove, che teneva insieme ad altre pentole vecchie, in grandissima quantità, dentro un magazzino affittato in un convento di suore: nel magazzino, oltre le pentole, aveva coperte, materassi, un baule pieno di biancheria, qualche mobile, e alcuni scatoloni di cui non riusciva in quel momento a ricordare il contenuto: forse le statuine di gesso di un vecchio presepio e i ninnoli per l’albero di Natale. Tutta roba che non aveva mai più tirata fuori essendo sola. Un tempo, quando aveva il marito e il figlio, quando era piccolo, costruiva l’uno e l’altro per Natale. E a questo pensiero, quello della sua solitudine, si perdette un poco tra commozione e il nulla delle cose e delle persone. Ma il pensiero non tardò a mutare e a concentrarsi, come sempre accade nei vecchi, nei particolari che riguardavano direttamente e immediatamente la propria vita: una macchia di umidità che pareva allargarsi ogni giorno di più nell’angolo del soffitto della sua camera da letto. Perché l’amministratore non provvedeva, dopo essere stato sollecitato mille volte? La signora si arrabbiò, la forza che stava tutta nella nuca parve come raggrinzirsi in un profondo senso di ingiustizia e di dispetto provocato ai suoi danni e accusò dentro di sé il figlio lontano, di cui non sapeva se era vivo o morto anche lui. 
Camminava lentamente in quel modo infantile e un po’ pesante, come avviene quando lo spirito così vicino ai muscoli, ai tendini e ai nervi, ha già ceduto alle illusioni del passato e non resta altro che procedere un po’ alla deriva come una barca. Infatti, si udì per tre volte la sirena bassa e lunga di un rimorchiatore o addirittura una nave, un transatlantico che usciva dal Bacino di San Marco. Qui lo spirito della signora, come sempre quando udiva quelle sirene, si risvegliò, e anche il passo. 
«Se potessi, se avessi le possibilità, andrei in crociera d’inverno. Prima di morire vorrei andare anch’io in una piccola crociera» pensò la signora e all’idea del viaggio parve risvegliarsi: non temeva i viaggi, anzi era sempre pronta a farli e il momento in cui tutto il suo spirito si risvegliava e accendeva era quello in cui metteva piede, il più agilmente possibile data la sua corporatura e la sua età, sul predellino di un treno o di una corriera. Sarebbe salita anche in aeroplano. Ma ora aveva davanti a sé, fittissima, la nebbia del Lido. Sentiva gocciolare gli alberi, qualche scarico nei canali, e lo sciacquio della laguna non lontana ma invisibile. 
Pensò al canarino e immediatamente a certi piccoli scoiattoli che aveva visto nel giardino di Schoenbrunn, a Vienna, e mangiavano nella mano. Ogni tanto qualche ricordo passava rapidissimo nella sua mente, limpido, chiaro, dove poteva distinguere nei particolari se stessa più giovane, il figlio, il marito e i suoi baffetti (li ricordava neri), un’altra città, l’estate sulla spiaggia, quella stessa spiaggia fredda e umida nella notte che era lì a pochi passi: le gelaterie, le luci, e poi, di colpo, la neve e il ghiaccio delle strade di Cortina dove per lei era necessario camminare a minimi passi per non cadere. 
Era il pensiero che aveva suggerito i passi o i passi avevano suggerito il pensiero? Perché udì dei passi e delle voci dietro di sé. Erano voci di ragazzi che camminavano veloci e la raggiunsero: non li vedeva quasi perché la nebbia aveva appannato gli occhiali, li intravedeva, uno di questi che le passò accanto guardandola, aveva i capelli lunghi. A quel punto i ragazzi smisero di parlare e la superarono lentamente in silenzio. Ancora si udì la sirena del transatlantico ormai giunto quasi al limite del mare aperto, all’altezza del faro. «Rex» fu il pensiero della signora, per un istante pensò al fratello, commissario di bordo del Rex, morto molti anni prima. «Il Rex non ci sarà più. Non è affondato?» si chiese la signora, e così pensando si accorse che i ragazzi erano ancora lì, vicino a lei, muti e con passo uguale al suo. 
Uno dei ragazzi si avvicinò e proprio sopra un ponte (si sentiva lo sciacquio del canale sotto le tavole di legno del ponte) si fece di fronte a lei. La signora aveva paura e, in quel modo confuso, veloce e incredibile che l’immaginazione di una persona anziana e assolutamente normale può avere in un momento come quello, pensò alla morte. Era tutta lì: lo sciacquio, la nebbia, la sera, l’affogamento dentro la pelliccia nell’acqua nera del canale, il cimitero. Udì la voce del ragazzo, una voce bassissima da uomo anziano e beone; il ragazzo disse: 
«O mi dai la borsetta o te copo». 
Le gambe della signora tremavano, ma perché, si disse, tanta paura della morte? E quel te copo aveva tutta l’ignoranza della verità. «Perché tanta paura della morte? Sono sola» e disse lentamente, con un tremito, ma con voce dura: 
«Còpeme». 
Il ragazzo esitava: 
«Dammi la borsetta» disse ancora, con quella voce delittuosa e casuale, coperta dalla nebbia: l’alito fumava. 
«No, non te la do, còpeme, vediamo se lo sai fare». 
Strinse con tutte e due le mani la borsetta ma guardò con forza, con forza animale il ragazzo di cui vedeva solo i contorni, lunghi e curvi, a forma di esse. Il ragazzo le diede una spinta sulla spalla, una specie di pugno e la signora traballò e andò a sbattere contro il parapetto del ponte. Di nuovo disse, con la voce tremante di indignazione questa volta, tra le labbra strette: 
«Còpeme», e a questa parola il ragazzo fuggì correndo, seguito dagli altri due. 
La signora aveva il cuore in gola, stette appoggiata al parapetto del ponte, come rannicchiata, senza arrischiarsi di stare sulle proprie gambe che ora non la reggevano. Aveva gli occhi pieni di lacrime e non vedeva più nulla. 
«Còpeme, disgraziato, assassino» disse quasi tra sé e cominciò a piangere con piccoli sussulti nella schiena. 
Piano piano la paura passò, le gambe (fece due o tre tentativi) la sostennero e altrettanto piano riprese la strada di casa. Un po’ di paura l’aveva ancora perché stava percorrendo la stessa via dove erano fuggiti i ragazzi. Forse l’aspettavano da qualche parte più avanti. Ma ormai anche lei sentiva che la sua ora non era giunta, che poteva tornare a casa abbastanza tranquilla, camminando però piano.

Da I sillabari, Goffredo Parise

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