bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 21 gennaio 2018

uomo seme

chissà perchè fa così.
è incomprensibile.
forse, semplicemente, mi sono lungamente sbagliata, non è come credevo che fosse.
uno spettacolo godibile, ma niente più.
lo spettacolo vanta una bella presenza scenica di un gruppo di donne che cantano la femminilità ancestrale. si chiamano quartetto Faraualla. mi hanno ricordato le Ganes, gruppo della Val Badia che canta in ladino. queste invece sono pugliesi, rievocano polifonie e radici antiche. 
anche la scelta scenografica è piacevole, luci e oggetti e il grande albero. ma niente di nuovo.
il testo, l'Uomo seme di Violette Ailhaud, è fragile, debole, francamente poco interessante, poco incisivo. poco da raccontare. poco da lasciarsi dietro.
quel che salvo del testo è la rivendicazione della differenza dei generi necessaria in un mondo che predica spaventosamente il genderless. c'è il femminile, c'è il maschile, a una la voce o meglio la parola, della storia dell'umanità, all'altro il segno, la traccia del fare, del seminare, del tramandare il nome.
diciamo tutto benino senza lode, tranne la Bergamasco.
la nostra attrice insiste su questo tono caricaturale, enfatico, retorico, indigeribile.
quasi temevo che parlasse perchè la sua voce avrebbe certamente guastato la scena. ed è stato immancabilmente così. a volte attenuava il carico e io speravo lo lasciasse a terra ma poi ricominciava a portarsi sulle spalle il fardello di questa storpiatura.
è da tempo che la sento declamare con questo tono drammatico, con il vocione impostato. la sensazione che domina è che non sappia recitare se non così. mi sembrava, in tempi meno sospetti, meno sospinti dal successo attuale, meno indotti anche dalla ricerca sulla voce di suo marito, Fabrizio Gifuni, che sapesse usare ben altro che l'enfasi posticcia per dire qualcosa nel suo affascinante mestiere.
qualcuno glielo dice per favore che la deve piantare?
devo dire che anche l'ultimo audiolibro di Gifuni, Notturno cileno di Bolaño non mi piace. non mi piace il testo e non mi piace Gifuni che legge, anche lui impostato su un registro forzato, perfino con un falso accento spagnolo. un po' mi annoia un po' mi infastidisce.
non vorrei avessero deciso di cavalcare quest'onda accecati da un equivoco, entrambi.
è così: la purezza non esiste e forse è meglio così.
meglio essere periodicamente delusi per poi ricominciare a cercare altrove, e non fare mai di nessuna cosa un ideale.

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